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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Immigrazione in via Padova, la ricerca di Villa Pallavicini

L'associazione Villa Pallavicini ha promosso una ricerca sull'immigrazione nel quartiere. E' emerso che "l'immigrato è solo e isolato", la socialità degli stranieri con persone fuori dal nucleo familiare e amicale è scarsa

Via Padova: quando se ne parla (sempre più spesso), è una narrazione di criminalità e violenza. Una strada lunga 4-5 km, che inizia quasi in centro e finisce al confine della città, teatro dell'immigrazione dal Mezzogiorno e, più recentemente, dal Terzo Mondo. Una specie di città nella città, che spesso si conosce solo per la cronaca nera.

L'Associazione Villa Pallavicini ha allora promosso una ricerca sull'immigrazione nel quartiere. Una ricerca, quella presentata la sera del 14 nella sede dell'associazione, frutto della distribuzione di mille questionari ad altrettanti immigrati residenti nella zona. Ne sono stati restituiti 263, a partire dai quali sono state elaborate statistiche con un certo valore di testimonianza. Non si tratta di un'indagine scientifica, perché è stato individuato un primo nucleo di soggetti a cui si sono aggiunti coloro che con essi hanno rapporti. Ma può dare indicazioni utili alla comprensione, almeno a grandi linee. Le nazionalità coinvolte sono state ben 36, a conferma che l'immigrazione in via Padova è interetnica, giovane e piuttosto recente: la maggior parte degli intervistati è in Italia da meno di 10 anni.

Il lavoro è il motivo prevalente dell'immigrazione (74%), e una buona maggioranza è in possesso del permesso di soggiorno: il 59%, a cui si aggiungono coloro che lo stanno ancora aspettando. Tuttavia, tra chi ha il permesso di soggiorno, solo il 63,4% dichiara di avere un'occupazione, mentre tra gli irregolari gli occupati sono il 69%. E tra chi è venuto in Italia per lavoro, è occupato il 63%. Sembra quindi confermata l'impressione che il lavoro in nero sia una "risorsa" diffusa. Il lavoro irregolare è prevalente nel settore edilizio (dove è impiegata gran parte degli egiziani) e nell'assistenza domiciliare. Il 35% del campione è operaio. Il 45% degli intervistati possiede un diploma o una laurea breve, a cui non corrisponde una qualificazione soddisfacente nel lavoro che essi trovano in Italia. L'Istat, per il 2008, parla di quasi il 50%.

Le risposte sulla socializzazione, infine, fotografano la nota sensazione che gli immigrati tendono a rapportarsi soprattutto con connazionali e amici, ma non con gli italiani. In dettaglio, rispetto alle abitudini nei Paesi d'origine diminuisce il tempo libero trascorso in famiglia, anche perché spesso il processo migratorio non coinvolge i parenti. Il 63,8% del campione frequenta italiani soprattutto per ragioni di lavoro, ma il 25,8% non li frequenta affatto, anzitutto per ragioni di lingua e poi perché non saprebbe dove conoscerli. Pochi quelli che affermano che esiste troppa differenza con gli italiani per trovarsi bene con loro.

Secondo il prof. Alfredo Alietti (docente di sociologia urbana a Ferrara ma milanese e studioso del quartiere, intervenuto alla presentazione della ricerca), questo dimostra che "l'immigrato è solo e isolato", nel senso che intreccia rapporti sociali con semplici conoscenti e lo fa soprattutto in luoghi aperti perché vive in condizioni disagiate (appartamenti in condivisione, a volte fatiscenti, senza spazi veramente "privati"). Afferma ancora Alietti: "via Padova è sempre stata ricca di differenze, fin da quando l'immigrazione proveniva dall'Italia del sud. Con la stabilizzazione degli immigrati stranieri, la via ha riacquistato vitalità per i business etnici presenti, che si sono integrati nel territorio. Basti pensare che qualche anno fa i commercianti arabi sostenevano le spese per le luminarie di Natale. Questa ricchezza, che può portare a un'esplosione di creatività, rischia di essere persa se la politica continuerà ad annullare le differenze esistenti e a cercare di costruire una società omogenea in questo tratto di città".

La difficile convivenza con gli italiani, oggettiva al di là delle ragioni e delle soluzioni, non è stata di fatto indagata dalla ricerca, che quindi in questo punto è lacunosa. In generale è noto ormai che la domanda di sicurezza è radicata non solo tra gli italiani ma anche tra gli stessi immigrati, e che alcune politiche di prevenzione, come il coprifuoco ai negozianti che crea solo il deserto ma non impedisce a chi delinque di rimanere in strada o i fermi di polizia casuali a cui non fa seguito alcun provvedimento (un intervistato ha dichiarato di essere stato fermato senza permesso di soggiorno ben 50 volte senza conseguenze), finiscono col diventare una "messa in scena" della sicurezza, e non la sicurezza vera che tutti preferirebbero.
 

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