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Giovedì, 25 Aprile 2024
Sesto San Giovanni Bresso / Via Vittorio Veneto

Iso Rivolta e il museo che non c'è

Il museo doveva essere ricavato nei capannoni di via Vittorio Veneto a Bresso, ma il comune ha finito i fondi. Il sindaco: «È necessario pensare anche alle strade e alle scuole»

Due capannoni, un gigantesco corridoio e un ufficio postale. Si presentano così gli ex capannoni della Iso Rivolta. Strutture che una volta sfornavano auto e moto d'italica bellezza. Vere icone di stile da celebrere in un museo. Lo stesso stabilimento sarebbe dovuto diventare un complesso museale. Ma in via Di Vittorio a Bresso non c'è niente.

Tutto era nato nel 2001 quando un gruppo di ragazzi con la passione per i motori aveva avanzato l'idea. Lo spunto piacque all'amministrazione e tutto si mise in moto. A oggi — come riportato in un articolo del Corsera — sono stati spesi 3 milioni di euro. Soldi (che tra il fallimento di due ditte appaltate) sono serviti a mettere in sicurezza la struttura e a tinteggiare i muri.

Il museo per il momento sembra destinato a rimanere un sogno nel cassetto. «L’ idea di una esposizione pubblica, in forma di museo, a ricordo della storica azienda, è stata sposata dalle precedenti amministrazioni e io l’ho ereditata — dichiara sulle colonne del quotidiano di via Solferino Ugo Vecchiarelli, sindaco di Bresso —. Oggi, bisogna esser realisti: nel progetto iniziale si parlava di 6 milioni di euro, che ora non ci sono. È necessario pensare anche alle strade e alle scuole. Per andare avanti, sarà necessaria, molto presto, una manifestazione pubblica di raccolta fondi».

L'amministrazione comunque ha un piano: realizzare nel capannone Nord (che in parte ospita l'ufficio postale) un luogo di ritrovo culturale artistico con ristorazione e bar. Ignoto il destino dell'altro capannone: «difficile immaginare collezionisti, così magnanimi, da offrire le vetture storiche in esposizione continua. Meglio allora immaginare una mostra sulle eredità industriali della zona nord di Milano; una mostra che sia la sintesi della capacità italiana di farsi luce nell’industria del bello, in questo caso per le due e le quattro ruote».

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