rotate-mobile
Coronavirus

Coronavirus, l'odissea di Veronica: "Io malata di Covid senza tampone, né quarantena certa"

Veronica ha raccontato a MilanoToday la sua malattia: "Devo scegliere quando sarò guarita e non più contagiosa da sola. Sembra che a nessuno interessi la salute pubblica"

In Lombardia c'è un grosso problema con i tamponi per verificare la presenza del coronavirus nei pazienti. A turno lo stanno denunciando tutti: personale sanitario, uomini delle forze dell'ordine, lavoratori delle Rsa e semplici cittadini con sintomi evidenti da contagio di Covid-19, ma lasciati da soli. Benché il governatore lombardo Attilio Fontana, l'assessore al Welfare Giulio Gallera o il capo della Protezione Civile Angelo Borrelli dicano il contrario. C'è tuttavia un problema maggiore, rispetto a questa bugia istituzionale, ed è l'assenza del Sistema Sanitario nel supportare chi a tutti gli effetti sembra contagiato da covid-19. La loro solitudine non riguarda soltanto il mancato test faringeo per certificare la presenza del virus o meno ma anche e sopratutto la gestione della malattia e la durata della stessa quarantena, con i rischi annessi riguardo l'espansione del contagio.

La testimonianza di Veronica: sintomi da Covid ma libera di uscire

"Se volessi oggi potrei uscire di casa. Ma sarei una bomba atomica e un pericolo per gli altri. E scelgo da sola di non farlo ma nessuno mi dice niente". A parlare è Veronica Rencricca, romana 38enne a Milano da circa un anno. Preoccupatissima dalla propria esperienza, Veronica ha deciso di denunciare la superficialità "allucinante" con la quale la sanità lombarda ha gestito la sua malattia: apparentemente coronavirus. Apparente perché nessuno le ha mai eseguito un tampone, anche se tutti coloro che ha sentito telefonicamente hanno concordato sulla diagnosi.

"Credo che io debba raccontare tutto, perché sono sicura che a Milano ci saranno migliaia di storie come la mia. Sommerse e silenziose". È pienamente consapevole del contesto attuale della città, Veronica. A cui, proprio il giorno della chiacchierata con MilanoToday, giovedì 9 aprile, la febbre sembra avere detto addio. Anche se la tosse non le dà tregua. I primi sintomi, Veronica li accusa il 25 marzo. È un mercoledì. Quel giorno la romana comincia a sentire affanno e compare una tosse persistente. La temperatura corporea va oltre i 37 gradi ma non di molto. Perciò lei stessa decide che non è il caso di preoccuparsi e, considerando che sono giorni cruciali per gli ospedali, sceglie di aspettare per non intasare il sistema che sa essere messo alle corde dall'emergenza

"Premetto che non ho il medico di base qui a Milano - ci tiene a chiarire la donna -  e non ho voluto prendere un treno per tornare a Roma, certa di stare in una Regione come la Lombardia che mi avrebbe garantito lo stesso tutto il necessario per stare bene". Poi però, domenica 29 marzo, al quinto giorno di sintomi, e visibilmente peggiorata, Veronica si decide a chiedere aiuto. "Oltre alla tosse e all'affanno, peggiorano anche la febbre e la saturazione dell'ossigeno, che arriva a 88. Lo so perché a casa ho il saturimetro", spiega. "Allora chiamo l'Ats di Milano. E parte la procedura, perché avevo dei sintomi abbastanza gravi. Mi dicono di contattare la guardia medica. Il medico mi fa uno screening telefonico e mi dice che sono un sospetto caso Covid-19. Lui stesso mi indica di chiamare immediatamente il 112 e di avvertirli dicendo che era stata proprio la guardia medica a dirmi di farlo. Così faccio. Chiamo il 112, il cui personale, sempre al telefono, in base a tutti i sintomi mi 'diagnostica' il Covid. Mi spiegano pure - prosegue nella sua ricostruzione Veronica - che il ceppo influenzale è sparito da tre settimane per cui il mio è sicuramente il coronavirus".

La videotestimonianza di Veronica: le immagini

A quel punto, insieme al personale specializzato dall'altra parte della 'cornetta', la 38enne valuta che la soluzione migliore sia quella di rimanere in isolamento domiciliare e non andare al pronto soccorso. "Ci abbiamo pensato un po' perché comunque i sintomi sembravano gravi", ricorda.
In quel momento dall'altra parte del telefono le spiegano che avrebbero comunicato all'Ats della sua quarantena. E, sapendo che i primi sintomi li aveva accusati il 25 marzo, le dicono di stare in quarantena fino all'8 aprile. "Dopo di che - ci dice stupita Veronica - io non sento più nessuno". E' stata contatta solo dalla Croce Rossa - dopo una sua richiesta - per aiutarla con la spesa, anche se poi si è affidata a un'amica. I giorni passano, la malattia sembra fare il suo corso, e lei migliora: "Dopo 9/10 giorni di sintomi - ricorda - mi sveglio una mattina e sembro guarita: non ho più febbre e la tosse è diminuita, il respiro è tornato più o meno normale e mi tranquillizzo". 

Quando l'incubo sembra terminato, Veronica, che sentita al telefono da MilanoToday dimostra di non essere certo una persona ansiosa, ha una ricaduta. "Domenica 5 aprile ritorna la febbre e lì mi si accendono un po' di campanelli d'allarme. Perché mi rendo conto che la mia quarantena sarebbe dovuta finire dopo 3 giorni ma nessuno si era minimamente sincerato di capire se io avessi ancora la febbre e, quindi, se avessero dovuto prolungare la quarantena". Allora è la 38enne stessa che, per paura di essere un pericolo per la salute degli altri, decide di approfondire. "Io non sono un medico e non posso fare il medico di me stessa. Chiamo il Ministero della Salute solo per avere delle linee guida". Perché come spiega linearmente Veronica: "In quel momento la nuova febbre non supera i 37.2, e non riesco a capire se lo devo considerare un sintomo o no. Decido io quando posso uscire? Mi auto prolungo la quarantena? Mi sembrava tutto molto strano". 

Il Ministero della Salute: "Lei deve chiedere un tampone subito"

La risposta del Ministero della Salute è sconcertante: "Signora - ricostruisce Veronica - non sappiamo che cosa stia succedendo a Milano. Lei deve avere immediatamente un tampone, perché finché lei non ha un tampone non può sapere se è positiva o negativa. Anche senza i sintomi potrebbe essere positiva fino a 20 o anche 30 giorni". Così la donna si attiva ancora per cercare di avere il tampone, come suggerito direttamente dal Ministero: "Cerchi di farselo fare, assolutamente, perché lei finché non ha non uno ma due tamponi negativi non può sapere se è un pericolo per gli altri". Quindi, si chiede preoccupata: "Chissà quante persone pensano di essere guarite e sono in giro mentre, invece, sono ancora positive perché non hanno avuto un tampone?".

Allora Veronica che in casa vive sola - "altro problema anche solo buttare la spazzatura" - decide di scrivere una lettera alla Regione Lombardia, ad Attilio Fontana, a Giulio Gallera e al sindaco di Milano Beppe Sala. L'unica risposta arriva dalla Regione, tramite Messenger. "Mi dicono - racconta Veronica - che stanno facendo di tutto per attivare il servizio e poi, alle mie domande incalzanti su alcuni punti specifici, capisco che non hanno idea e si arrampicano sugli specchi. Tanto che a un certo punto mi dicono che il tampone non mi era stato fatto perché non avevo il medico di base qui a Milano". 

Decidere da soli il fine della quarantena: succede a Milano

"Attivo anche tutta la procedura telefonica che è segnalata su ogni pagina della Regione Lombardia, dove ovviamente è anche scritto che i tamponi vanno fatti alle sole persone sintomatiche, come me. Perciò - prosegue nella sua denuncia 'fiume' Veronica - chiamo nell'ordine il numero verde della Regione, il Ministero della Salute, l'Ats di Milano, la guardia medica di Milano, il 112, la Croce Rossa e la Protezione Civile. Ognuna di queste grandi istituzioni mi dà un altro numero e mi risponde che loro non possono fare niente". A tutti lei fa la stessa domanda: "L'8 aprile finisce la mia quarantena, ossia che io per legge e sulla carta, potrei uscire: andare al supermercato, a farmi il giro del palazzo, a buttare la spazzatura, sarei una bomba atomica e un pericolo per gli altri". Tuttavia la risposta è sempre la peggiore: "Signora, purtroppo tamponi a Milano non se ne fanno. Lei deve considerare una decina di giorni da quando non ha più i sintomi. Poi valuti lei".

Il più grave problema per evitare il propagarsi di questa pandemia sta proprio lì. Se ne accorge anche Veronica, che di professione gestisce un ristorante ed ha vissuto a Londra e in Madagascar, ma che non è certo un medico. "Come 'valuti lei'? Io non sono un dottore, non sono un infettivologo, un virologo, non ho nessun tipo di competenza per valutare la situazione. E come me penso nessun cittadino di Milano possa valutare la situazione. E anzi, lasciare questo tipo di valutazione a noi cittadini, credo sia una cosa molto pericolosa. Ma voi vi rendete conto di quante persone pensano di essere guarite e sono in giro? Voi mi state dicendo che io non potrò mai avere un tampone, nessuno valuta quanto deve essere lunga la mia quarantena. E io in maniera autonoma devo decidere quando mi sento bene? Quando sarò guarita e penso di poter uscire?".

E allora cosa pensa di fare Veronica, che sembra proprio una cittadina responsabile? "Nel momento in cui non avrò più la febbre, in maniera autonoma, deciderò come e quando uscire. Io cittadina. Deciderò se, come e quando uscire. Potenzialmente usciamo e siamo ancora positivi e contagiosi, ma pare che di questa cosa non interessi a nessuno, per cui vi posso solo dire state molto molto molto attenti perché qui a Milano la situazione è molto molto grave e purtroppo nessuno ne parla". E se al posto di pensarla così, Veronica - o chi per lei - decidesse di ignorare il problema e uscire, come in fondo sembra suggerirle il sistema? 

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Coronavirus, l'odissea di Veronica: "Io malata di Covid senza tampone, né quarantena certa"

MilanoToday è in caricamento