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San Siro, nelle viscere della banlieu arrabbiata

Viaggio nel quartiere periferico dove l'abbandono, la criminalità e l'incuria si intrecciano con la street art e il trap. Ma non mancano i fiori della speranza (e della rinascita) | Longform, prima puntata

"Vengo qui la mattina, apro, lavoro, e poi la sera torno a casa. Ma sono sempre pieno di debiti, siamo rimasti solo in quattro gatti eritrei". Le parole del gestore del Bar Keren, un piccolo locale di San Siro circondato soltanto da enormi casermoni Aler, racchiudono perfettamente l'atmosfera che si respira in questo quartiere, un luogo dove il tempo, a giudicare dallo stato in cui versano gli edifici, sembra essersi fermato, e dove ogni azione pare rimbalzare contro il limitato orizzonte di speranze nutrite dai suoi abitanti.

Tra le pieghe di momenti all'apparenza tutti uguali irrompe però quasi in modo regolare la violenza. È successo nel caso dei ragazzi che ascoltano il rap ispirandosi ai loro coetanei delle banlieue parigine e che nelle scorse settimane hanno lanciato sassi ai poliziotti, così come per gli scippi all'ordine del giorno e le botte date senza remore per strada (l'ultimo caso è quello di mamma e figlia picchiate in via Tracia). A venire aggredito è anche chi cerca di cambiare le cose. A chi appende locandine contro l'abusivismo, ad esempio, è capitato di essere inseguito da persone di etnia rom, uno dei tre gruppi che gestisce il racket delle case popolari insieme a egiziani e calabresi. Ecco quello che, residenti e cooperanti delle associazioni presenti, ci hanno raccontato su questa periferia adirata e a tratti anche pericolosa, ma piena di potenzialità e speranza.

Il video della prima puntata

"Io ho paura"

Nonostante i 20 anni trascorsi in questa parte di San Siro, l'anziano barista del Keren, un locale con un grande biliardo e antiche fotografie appese alle pareti, si adombra ancora quando parla dell'aggressività che serpeggia nel quartiere. "L'ultima volta - ci racconta in riferimento alla sassaiola delle scorse settimana -, sono arrivati in massa, non sappiamo chi fossero né da dove venissero, alcuni probabilmente da fuori. Io ho paura di questa violenza. Dei ragazzini mi hanno spaccato il vetro ben tre volte. Prima questa zona era diversa, c'erano tanti lavoratori. Ora è rimasto il vuoto". Un vuoto che si configura a diversi livelli, nel totale abbandono delle case popolari, le cui facciate ricordano le periferie di Parigi dove il seme della disperazione ha originato il frutto funesto del terrorismo, ma anche nella mancanza di modelli e riferimenti per i tanti ragazzi che abbandonano la scuola (il fenomeno della dispersione scolastica è diffusissimo qui) e passano le proprie giornate per strada finendo spesso per dedicarsi ad attività illegali come lo spaccio.

San Siro tra degrado e arte (foto Dragotto, Mannu/MilanoToday)

Il cuore del quartiere popolare di San Siro (un quadrato delimitato da via Albertinelli, via Paravia, via Carlo Dolci, via Ricciarelli e via Civitali), è piazzale Selinunte, un ampio spazio con un parco dove si ritrovano famiglie e ragazzi. Qui, invece delle divinità venerate nella città siciliana di cui questo luogo porta il nome, c'è un mostro dalle dimensioni gigantesche diviso a metà, come nelle rappresentazione dei protagonisti del pantheon indù, al contempo buoni e cattivi. Il gigante antropomorfo è disegnato sulla torre rossa della ex centrale termica A2a che, un tempo, serviva a scaldare le case di tutto il circondario e, forse come nessun altro dei tanti murales presenti in zona, rappresenta perfettamente la duplicità della 'San Siro pop'. Alto oltre una decina di metri, è per metà bianco e azzurro, con tinte rassicuranti quasi a simboleggiare la sua bontà, e per metà nero e rosso, gli stessi colori associati al demonio. Nel complesso è un emblema dello spirito di questo quartiere che riesce a essere allo stesso tempo violento e tranquillizzante (per chi ci abita da sempre e lo considera casa); pieno di conflitti ma anche di alcuni fecondi confronti; povero ma incredibilmente solidale; degradato e insieme prolifico dal punto di vista artistico e culturale.

Reportage. A San Siro il rap diventa espressione del malessere giovanile

"Il quartiere ci piace così"

Tra i tanti problemi che i residenti devono affrontare ogni giorno c'è quello del conflitto tra etnie. La San Siro delle case Aler, infatti, ha una forte prevalenza di egiziani, un'estesa comunità rom, alcuni sudamericani, cinesi, eritrei, nordafricani e, infine, una popolazione di italiani, per lo più anziani. Questi diversi gruppi vivono per la maggior parte alla stregua di compartimenti stagni: ognuno ha le sue zone di riferimento e, per evitare problemi, si tiene alla larga dalle altre. Il parchetto di piazza Selinunte, ad esempio, è diviso tra famiglie rom ed egiziane (ma solo musulmane, non copte) e, quando proviamo a parlare con alcuni ragazzi e poi delle mamme, tutti ci guardano quasi fossimo degli alieni. Le madri egiziane, come ci dice la ragazzina dai grandi occhi verdi che ci fa da traduttrice, sono in Italia da quattro-cinque anni, ma nonostante questo non parlano una parola di italiano. Da quello che ci raccontano altri abitanti, queste donne tendono a uscire solo tra di loro e tendenzialmente unicamente per andare a fare la spesa o portare i bambini al parco giochi. Quanto ai ragazzini, quando iniziamo a far loro delle domande, si mettono subito in allarme. "Metti via la telecamera - ci dice all'improvviso uno di loro vedendoci con lo smartphone in mano -, non sono di qui, non so nulla". 

L'omertà degli adulti (quasi nessuno è disposto a parlare) è direttamente proporzionale alla diffidenza dei più giovani. "Io abito nel quartiere, parlate con me - ci si rivolge un altro adolescente tutto ricci e ciglia lunghe, ma dallo sguardo duro -. Non sappiamo niente della sassaiola, conosciamo Neima (il rapper del video che aveva creato l'assembramento, ndr), ma frequenta altri giri, comunque sono tutti bravi ragazzi. Quel giorno stavano girando un video, non facevano niente di male". Quando poi chiediamo a questi poco più che teenager (da cui ci separa solo una quindicina d'anni) cosa vorrebbero cambiare di San Siro se potessero, ci rispondono che va bene tutto così, "il quartiere ci piace com'è, problemi non ce ne sono". Una risposta a cui facciamo molto fatica a credere mentre giriamo per vie piene di rifiuti abbandonati, palazzi che potrebbero essere sul punto di cadere a pezzi e residenti con disabilità psichiche e fisiche che camminano con l'aria persa.

Tra etnie diverse spesso alla distanza si frammischia anche l'odio. Una vera guerra tra poveri in cui chi ha meno di tutti prova a derubare chi ha qualcosina in più, come i senza fissa dimora che vivono nelle cantine e a volte irrompono negli appartamenti per commettere furti. Questi conflitti nel caso di molti adulti, soprattutto di sesso femminile, sono alimentati anche dalla barriera linguistica: un ostacolo che alcuni servizi di insegnamento della lingua, come quello offerto dallo Spazio di Mutuo Soccorso della zona, se potenziati, potrebbero contribuire a superare, ma che per il momento sembra insormontabile. Un'altra problematica centrale per chi abita in questo quartiere è quella del lavoro. Moltissimi residenti, precari che spesso vivono grazie a sussidi, hanno visto peggiorare ulteriormente la propria situazione durante l'emergenza sanitaria. Per fortuna c'è già chi, tra mille difficoltà, si è rimboccato le maniche per cercare di favorire l'inserimento lavorativo degli abitanti di San Siro. "Qui - ci racconta Valentina Valfré, responsabile programmi e advocacy di Sole Terre onlus - abbiamo un consulente del lavoro, una psicologa, un consulente legale e un mediatore culturale. Questo perché spesso le persone in situazioni di precarietà occupazionale hanno anche altri aspetti da affrontare, come difficoltà linguistiche, malattie croniche, problemi relativi alla casa o psicologici. Noi quindi cerchiamo di offrire un approccio integrato e personalizzato lavorando insieme a una rete di associazioni e agenzie".

"Io sono nata e cresciuta in un casermone Aler - continua Valentina - e quindi so cosa vuol dire vivere in un contesto che sembra non offrire opportunità. Poi magari hai anche un padre o una madre che perdono il lavoro, cosa che con la pandemia accade sempre più spesso. Psicologicamente è difficile per tutti, per i ragazzi e le famiglie che già avevano difficoltà lavorative prima, e qua sono tanti, è ancora peggio. Ci sono persone che da un giorno all'altro si sono trovate a non riuscire più a pagare l'affitto o a fare la spesa. La situazione che i giovani vivono è questa, ma non dipende certo da loro. Bisognerebbe valorizzare le cose positive che ci sono partendo magari dai ragazzi che fanno writing o musica". Sulla sassaiola contro la polizia, la responsabile di Sole Terre è molto chiara: "Quello che è successo - afferma - non è assolutamente giustificabile, ma è abbastanza comprensibile visto il contesto in cui questi ragazzi vivono. In ogni caso condannare non basta, bisogna lavorare insieme per superare una situazione di oggettiva difficoltà. Qui abbiamo tante associazioni attive che riescono a fare molte cose: Certo, ci vorrebbe però un po' più di aiuto anche da parte delle istituzioni. Innanzitutto bisognerebbe tenere le case in modo dignitoso per chi le abita, poi sarebbe anche necessario creare spazi per i ragazzi e le ragazze convertendo i tanti esistenti e in stato di abbandono".

Mercoledì 19 maggio la seconda puntata

Mercoledì 26 maggio la terza puntata

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