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Coronavirus

Che fine farà lo smart working a Milano dopo la pandemia

Lo abbiamo chiesto a diverse multinazionali con sede in città. Cos'è il 'new normal' e come la pandemia cambierà, per sempre, gli equilibri negli uffici milanesi

I grattacieli dedicati agli uffici come carapaci abbandonati, i self service, i ristoranti e i bar ridotti a satelliti senza vita, le greggi di colletti bianchi vive solo nel ricordo. Da più di un anno ormai la pandemia e l'assenza dei moltissimi milanesi in smart working (e dei tanti altri nel meno entusiasmante, di nome e di fatto, telelavoro) hanno cambiato drasticamente, e probabilmente per sempre, il volto della città. All'alba di quello che si spera essere l'inizio della fine di uno dei periodi più difficili vissuti da Milano dal secondo dopo guerra, è possibile tirare le somme di un anno di lavoro vissuto da molti nel perimetro dei propri appartamenti. Non solo, si può anche rispondere alla domanda che ormai sorge sempre più insistente: una volta sconfitto il virus che dal 2020 ci tiene in ostaggio, come si tornerà a vivere e a lavorare nel capoluogo lombardo? MilanoToday lo ha chiesto ad alcune multinazionali con sede in città. Le risposte che ci hanno dato sono diverse, ma tutte concordano nel ritenere il covid-19 un punto di non ritorno: sia per la città sia per i suo abitanti c'è stato un prima e ci sarà un dopo, per certi versi molto diverso. Chi è familiare con il filosofo tedesco Georg Wilhelm Friedrich Hegel non potrà non pensare all'iconica triade tesi-antitesi-sintesi. Perché come emerge dagli scenari delineati dalle aziende interpellate, quello post pandemico sarà un tempo di una nuova normalità, che avrà alcune caratteristiche del passato pre covid e altre dei modelli adottati durante la fase emergenziale. 

Come hanno lavorato i milanesi in pandemia

Per diverse realtà aziendali lo scoppio della crisi sanitaria ha accelerato dei processi già in atto. Nella società di servizi per il pagamento digitale, Nexi, ad esempio, quello che era già concepito come un progetto pilota, a marzo del 2020 si è dovuto tradurre in una remotizzazione totale dell'azienda, fatta eccezione solo per poche figure la cui presenza era indispensabile. Molte società con sede a Milano nell'arco di poche settimane, e in alcuni casi addirittura di pochi giorni, hanno fatto sì che migliaia di dipendenti potessero lavorare da casa.

Questo processo ha implicato innanzitutto un ampio dispiegamento di mezzi tecnologici. "Abbiamo organizzato il trasferimento dei pc e dell'attrezzatura necessaria a casa dei nostri dipendenti, oltre ad acquistare 1500 portatili in Italia per consentire al 100% delle persone di lavorare in remoto", ricorda la direttrice del personale di Vodafone Italia, Ilaria dalla Riva. Ma il cambiamento è stato anche di tipo culturale e alcune società hanno cercato di fornire tutti gli strumenti necessari anche da questo punto di vista. "Abbiamo messo a disposizione delle nostre persone - sottolinea Anna Nozza, responsabile risorse umane di Accenture Italia -  numerosi servizi per favorire il loro benessere e la centralità delle relazioni messe a dura prova durante il distanziamento forzato".

Alcune aziende hanno proposto anche interventi specifici per gettare le basi di questa modalità nuova di lavorare. "Oltre ad aiutare i nostri dipendenti attraverso team coaching per capire come lavorare in maniera diversa, - afferma Maria Grazia Bizzarri head of people development, reward and change Nexi - abbiamo preparato anche dei percorsi formativi ad hoc e previsto pacchetti di counseling psicologico, con adesione anonima, di ginnastica online, oltre a prevedere la possibilità di incontrarsi durante momenti ludici virtuali. In questo modo abbiamo cercato di aiutare le persone a 360°, sopperendo anche alla mancanza di socialità che lo smart working porta con sé". C'è chi poi ha previsto programmi di supporto con psicologi e attività online legate allo sport, alla medicina preventiva e al benessere. Tutte misure per alleviare le difficoltà incontrate da chi spesso dall'oggi al domani si è trovato a dover lavorare in spazi non certamente concepiti per essere utilizzati come ufficio, magari oltretutto in condivisione con altri membri della famiglia e con strumenti insufficienti, come sedie, tastiere e schermi inadeguati. Perché il lavoro agile sia positivo, si è capito, è indispensabile un investimento da parte dei datori di lavoro.

In generale ci si è presto resi conto che lo smart working, in assenza delle adeguate precauzioni, rischiava di far scomparire il confine tra vita lavorativa e vita personale. "C'è stato un grande investimento in tecnologia, ma anche in politiche di attenzione al work-life balance - evidenzia Emanuele Recchia, responsabile welfare di Unicredit -, il diritto alla disconnessione è fondamentale, non si può essere sempre disponibili, bisogna che i tempi di vita privata dei dipendenti vengano rispettati". "Per aiutare le persone in questa nuova situazione, abbiamo messo a disposizione alcune funzionalità avanzate di Meet - spiegano da Google Italia - e abbiamo pubblicato per esempio alcuni consigli per rimanere produttivi: creare uno spazio in casa dedicato all’attività lavorativa, usare al meglio le videoconferenze, pianificare gli impegni e organizzarsi in modo chiaro per separare il tempo di lavoro dal tempo libero".

Alcune aziende, infine, hanno prestato attenzione anche alle categorie per le quali lo smart working poteva rappresentare una situazione a rischio. "In Vodafone - riferisce dalla Riva - abbiamo adottato una policy sulla violenza domestica, dando la possibilità a chi lo volesse di venire in azienda oppure di lavorare in smart al 100% se ospite di una comunità". Non tutti gli uffici, infatti, hanno chiuso durante l'emergenza sanitaria. Molti sono rimasti a disposizione per esigenze di business, spesso rendendo obbligatoria la prenotazione del proprio posto in ufficio, per far sì che il lavoro in presenza fosse compatibile con le norme anti contagio. È il caso, ad esempio, di Luxottica che ha lasciato la propria sede a disposizione, creando un'app per registrarsi e prenotarsi, e mettendo allo stesso tempo in piedi un sistema di prevenzione dei contagi sia negli uffici di Milano sia nelle fabbriche (dove la presenza fisica era richiesta), con la possibilità per i dipendenti e i loro familiari di sottoporsi al tampone quando lo ritengono necessario.

Smart working o telelavoro?

Il lavoro smart, o agile, per definizione non prevede precisi vincoli di orari (oltre che di luoghi). Ma per molti milanesi e lombardi quello svolto da casa è stato qualcosa di molto più simile al telelavoro, con orari che spesso ricalcavano quelli svolti in presenza prima della pandemia o addirittura ne erano la dilatazione. Inoltre al problema del confine sempre più labile tra vita professionale e personale, per molte famiglie si è sommato l'onere della gestione di bambini e ragazzi in Dad. Alcune aziende hanno cercato di far fronte a questi aspetti dando la possibilità di rendere flessibili i propri orari e prevedendo un'attenzione particolare per i genitori. "Con il sindacato - afferma Ilaria dalla Riva di Vodafone - abbiamo lanciato il 'parental leave', una misura che nasce dal riconoscimento della genitorialità anche per i papà, che possono avere fino quattro mesi di congedo retribuiti al 100% dello stipendio".

Al netto delle difficoltà incontrate, comunque, in generale, lo smart working è stato molto apprezzato dai dipendenti che, come evidenziano i sondaggi che le aziende hanno proposto negli ultimi mesi, vorrebbero avere la possibilità di lavorare da casa anche dopo la pandemia. "Le nostre persone erano già abituate a lavorare in modalità agile e le survey che abbiamo condotto durante il lockdown confermano il loro gradimento", riferisce Nozza di Accenture. "Dall'ultima survey, a fine novembre, è emerso che lo smart working è estremamente gradito ai nostri dipendenti ed è una strada di non ritorno", concorda Recchia di Unicredit.

Nel complesso i lavoratori in smart working non solo hanno risparmiato il tempo che normalmente impiegavano per gli spostamenti, ma in media hanno guadagnato anche di più. "Durante la pandemia di covid 19 - evidenzia un rapporto della Banca d'Italia dello scorso gennaio - , rispetto ai lavoratori non in smart working, la retribuzione di quelli che hanno svolto il lavoro da remoto è stata superiore del 6 per cento, riflettendo in larga parte il maggior numero di ore lavorate (in media, due ore alla settimana, pari a circa il 6 per cento): controllando per il numero di ore lavorate, il differenziale nella retribuzione non è invece significativo".

Secondo le aziende intervistate, comunque, ad essere prediletta dai lavoratori milanesi non è l'attuale lavoro da remoto al 100% - né il ritorno in ufficio a tempo pieno - quanto una modalità ibrida che preveda il 60% dell'attività in presenza e il restante 40% da casa o da altri luoghi, oppure il contrario. La stragrande maggioranza dei dipendenti, quindi, potendo scegliere opterebbe per due/tre giorni alla settimana in ufficio, lavorando a distanza il resto del tempo.

Se aziende come Twitter, Microsoft e Spotify daranno ai propri dipendenti la possibilità di lavorare in smart working per sempre anche dopo la pandemia, per altre società, tra cui tutte quelle che abbiamo interpellato, si prospetta un seppur parziale ritorno in ufficio. Del resto anche realtà 'Big Tech' come Facebook, Apple e Google per il momento manterranno lo smart working al 100% soltanto fino all'estate 2021. Finita l'emergenza sanitaria l'ipotesi del southworking, ovvero il lavoro dalla regioni del Sud Italia, non parrebbe quindi vagliabile per la maggior parte dei lavoratori di Milano, i quali, tuttavia, spinti da un pendolarismo meno frenetico - e meno impattante da un punto di vista ambientale - potrebbero decidere di allontanarsi dal centro, scegliendo i paesi dell'hinterland o addirittura altre province lombarde. Questa possibilità rimarrebbe ovviamente una prerogativa soltanto di alcune categorie di lavoratori: chi non fa parte dei 'colletti bianchi', oltre ad aver subito peggiori conseguenze legate alla crisi economia innescata dalla pandemia, nel post emergenza non potrà nemmeno godere di questo tipo di privilegi. L'emergenza sanitaria anche all'interno della stessa Milano (quindi non solo tra le diverse regioni e i Paesi) sembra aver aumentato la disuguaglianza sociale.

Cos'è il 'new normal'?

Ma veniamo a un punto clou del tema smart working. Cosa succederà dopo la pandemia? Se soltanto per alcune aziende il quadro è già definito, tutte concordano nel ritenere il lavoro agile uno strumento di lavoro fondamentale, ormai irrinunciabile e per questo da implementare rispetto ai tempi pre covid. Il modello che diventerà dominante all'indomani della pandemia sarebbe il cosiddetto 'new normal', un misto di lavoro a distanza, che tendenzialmente si assesterà tra i due o tre giorni alla settimana, e in presenza.

"Una nostra quicksurvey dell'anno scorso - riferisce Bizzarri di Nexi - aveva evidenziato  il desiderio dei nostri dipendenti di avere metà e metà circa 2-3 giorni al lavoro e 2-3 giorni a casa, un 'half and half'. Alcuni avevano anche espresso la proprie difficoltà rispetto alla capacità di disconnessione, per questo è importante che questo aspetto venga regolamentato". In generale, prima nelle aziende più grandi e poi a cascata in quelle medie e più piccole verranno stipulati nuovi accordi e contratti che disciplinino in maniera più definita il nuovo modo di lavorare che la pandemia ha lasciato in eredità.

Vodafone è tra le realtà che insieme ai sindacati hanno raggiunto un accordo sullo smart working che travalica i confini dell'emergenza sanitaria e prevede l’adozione del lavoro agile all’80% dell’orario di lavoro mensile per i dipendenti impegnati nell'assistenza al cliente e del 60% per i dipendenti delle altre aree aziendali. Nelle giornate di lavoro agile saranno gli stessi lavoratori a poter scegliere da dove preferiscono operare.

Gli uffici verranno abbandonati?

Ma visto che molti dipendenti avranno la fortuna di lavorare, almeno in parte, da casa, a Milano i grattacieli e i palazzi che ospitano gli uffici verranno smantellati? Anche se nessuna delle aziende che abbiamo intervistato ha risposto con un netto 'sì', resta presumibile che questi spazi vengano ridimensionati e riadattati alle nuove esigenze delle società. "In questo momento - riferiscono da Nexi - stiamo facendo lavori di aggiornamento e ammodernamento: approfittiamo per rivedere le nostre sedi rendendole funzionali ai modi di lavorare di oggi. Importanti interventi renderanno più moderni gli spazi lavorativi, ma in questo momento non stiamo ponendo il tema del ridimensionamento".

"L'attuale smart working full time - fa notare Recchia di Unicredit - non è verosimile una volta passato il covid. Noi però stiamo pensando a un'evoluzione del modo di lavorare che combini la presenza fisica e quella virtuale. È chiaro che il lavoro agile piace ed è stato chiesto anche per il futuro. Noi continueremo a proporlo ma non al 100%. In generale lo smart working sarà molto più diffuso nel futuro". Va in questo senso anche il piano di Accenture Italia che ha investito 360 milioni a livello nazionale nel programma Forward Building: "Proprio qualche giorno fa abbiamo celebrato il raggiungimento della prima milestone con il posizionamento dell’insegna sulla torre di Via Bonnet a Milano - afferma Nozza -. I Forward Building capitalizzano quanto vissuto in questi mesi, puntando sulla combinazione tra un modello di lavoro altamente flessibile e un luogo fisico che riafferma la propria rilevanza nella vita personale e professionale di tutti coloro che lo frequenteranno. Un posto dove favorire l’aggregazione tra i diversi team, alimentare il senso di appartenenza dei nostri talenti e stimolare la progettazione di soluzioni innovative al fianco dei nostri clienti".

Il new normal, quindi, porterà senza dubbio a una ridefinizione degli uffici anche se al momento nessuna azienda conferma di voler eliminare alcune delle proprie sedi. "Al momento non ci sono piani sull'abbandonare i nostri palazzi, nessuna decisione è stata presa in questo senso - precisa Recchia di Unicredi -, la situazione attuale è confermata anche se i luoghi dove siamo saranno sicuramente ripensati. Il 'lavoro ibrido', con un giusto bilanciamento tra smart working e presenza in ufficio, avrà bisogno di altri spazi". Su queste stesse posizioni anche Luxottica, dove le riflessioni sugli uffici sono ancora in corso, così come sono aperti anche i cantieri per creare nuovi spazi in città, e Vodafone. "Ad oggi noi non abbiamo affrontato questo aspetto, anche perché siamo ancora tutti a casa - spiega la direttrice del personale dell'azienda di telefonia, Ilaria dalla Riva -, stiamo pensando ad una trasformazione degli spazi legati al nuovo modello di lavoro che potremo chiamare digital working. Andremo a valorizzare i momenti in ufficio come tempi di socializzazione per assicurare coesione, coinvolgimento e per stimolare i processi di creatività e formazione".

Come si andrà al lavoro?

La riduzione degli spostamenti che il virus ha imposto anche a Milano ha portato alcuni (seppur non sufficienti) miglioramenti a livello di inquinamento. Perché nel dopo pandemia lo smog venga ridotto - e di conseguenza la qualità della vita di chi vive in città possa migliorare - è indispensabile che una nuova mobilità venga resa possibile. La giunta guidata da Beppe Sala tra 'città a 15 minuti', piste ciclabili e sharing sta remando proprio nella direzione della sostenibilità ambientale, ma cosa prevedono invece le aziende? Al momento non tutti hanno già progetti chiari, ma l'intenzione sembrerebbe quella di investire in politiche di questo tipo. E se parlare di condivisione dei veicoli è ancora prematuro, nel post coronavirus la strada parrebbe quella del 'green'.

"Abbiamo già in essere accordi di questo tipo - sottolinenano da Unicredit - e continueremo a investirci. Il tema della sostenibilità ambientale ci è caro". Alcune realtà, come Accenture, metteranno a disposizione dei propri dipendenti flotte di e-bike per andare al lavoro, e altre prevedono anche l'introduzione di figure dedicate a questi aspetti: "Stiamo cercando un mobility manager da inserire all'interno dell'azienda - annunciano da Nexi -, proprio perché vorremmo acquisire questa competenza e farla nostra". In generale il 'new normal' dovrebbe portare con sé una riduzione delle emissioni e un (auspicatissimo) decongestionamento del traffico, con una ricaduta positiva anche per i milanesi che non hanno la possibilità di lavorare in modo agile.

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