Quando attraversiamo la porta blindata che separa la parte degli uffici da quella dedicata alla reclusione degli stranieri, custodita da un paio di agenti, intuiamo perché alcuni lo chiamano "lager". Volti segnati dalla sofferenza, occhi spalancati che scrutano attraverso le sbarre, mentre le mani picchiano contro il vetro per chiamarci. Il viaggio di Dossier dentro il Centro per il rimpatrio (Cpr) di via Corelli
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