rotate-mobile
Attualità

A Milano il 22% dei bambini viene ricoverato in reparti non pediatrici

È quanto emerge da una ricerca commissionata da Abio (Associazione per il bambino in ospedale). Le unità non pediatriche maggiormente interessate al ricovero di bambini sono prevalentemente quelle chirurgiche

Come funziona l'offerta sanitaria per i bambini a Milano? Ci sono vuoti da colmare e bisogni in crescita fra i piccoli pazienti della metropoli? Da una fotografia scattata giovedì 22 febbraio in occasione della presentazione in Regione Lombardia di una ricerca commissionata da Abio - Associazione per il bambino in ospedale, emergono alcuni aspetti su cui gli esperti ritengono importante accendere i riflettori. Il primo punto è quello che succede sul fronte degli ospedali. E dai dati, presentati da Giovanni Corrao del Centro di ricerca interuniversitario Healthcare Research & Pharmacoepidemiology (e docente dell'università di Milano-Bicocca), emerge che ancora una quota dei ricoveri dei bimbi avviene in reparti non pediatrici.

Il punto di vista è quello degli 8 ospedali milanesi supportati dall'attività dei volontari di Abio: nell'arco di 16 anni, rileva Corrao, "si sono verificati 143.121 ricoveri ordinari prevalentemente (per il 70% circa) in unità pediatriche, ma con una frequenza non marginale di ricoveri in unità non pediatriche, pari al 22%. Le unità non pediatriche maggiormente interessate al ricovero di bambini sono prevalentemente quelle chirurgiche, ma dovrebbe essere enfatizzato il carico su unità cardiologiche (mediche, chirurgiche e d'urgenza cardiologica) che, pur riguardando il 18% dei ricoveri, in assoluto si riferisce a quasi 26mila bambini". Durata delle degenze: tra 2 e 7 giorni, con una mediana di 3-4 giorni, e picchi di 5 giorni mediani al Besta e al San Donato.

Ma un altro elemento osservato a livello regionale in Lombardia su cui Corrao pone l'accento è "l'emergenza del disagio giovanile, messa in evidenza da quasi 11 milioni di prestazioni a carico della neuropsichiatria infantile nei 10 anni tra il 2013 e il 2022 e, a parte l'attesa riduzione nel 2020, dalla netta tendenza verso l'aumento del ricorso a prestazioni in quest'area". C'è poi il noto fenomeno delle culle che si svuotano. Negli ultimi 16 anni, rimarca Corrao, "la natalità in Lombardia si è ridotta drasticamente passando da 8,8 (2007) a 6,7 (2022) nati per 1.000 per anno (-23,9%), riduzione minore di quella dell'intero Paese (-30.9%), ma molto superiore a quella europea (-12,5%)". Tornando all'assistenza rivolta ai giovanissimi lombardi, i dati evidenziano che "la domanda di prestazioni mediche si sta velocemente spostando dal comparto ospedaliero a quello ambulatoriale. Il trend osservato nelle generazioni più recenti permette di ipotizzare che questa tendenza continuerà anche nei prossimi anni. Il Terzo settore ne tenga conto, i bisogni assistenziali dei bambini, e il sostegno ai genitori, devono sempre più trovare risposte fuori dall'ospedale".

In una realtà che cambia, anche le associazioni si trovano di fronte a nuove sfide per restare al passo con i tempi, spiegano da Abio Milano, realtà che con i suoi 300 volontari è presente da 45 anni nei reparti pediatrici della città. Con 406 interviste a genitori di bambini durante ricoveri in ospedale, visite ambulatoriali o attese durante cicli di terapie, e in contemporanea interviste a 108 medici e infermieri in ospedale, 88 pediatri di libera scelta e 36 volontari, due università - Milano-Bicocca e Politecnico di Milano - oltre a Progea (società di consulenza), hanno verificato il grado di soddisfazione dei servizi offerti dai volontari Abio. Oggi le cure sono sempre più ambulatoriali, i ricoveri sempre più brevi. "Con la conseguenza - dice Eugenio De Bernardi, presidente Abio Milano - che anche l’attività delle associazioni di volontariato, il Terzo settore, deve trasformarsi ed evolversi per adeguarsi alla realtà odierna".

Per l'analisi "abbiamo selezionato, con un lavoro di ricerca in letteratura sull'attività di altre realtà del volontariato, alcuni servizi nuovi che Abio ancora non offre per comprendere quali potevano essere i nuovi bisogni e interessi dei genitori", spiega Cristina Masella, ordinario di Impresa e decisioni strategiche, responsabile scientifico Osservatorio sanità digitale e vice rettore del Politecnico di Milano. "Per quanto riguarda le attività presenti, abbiamo verificato una soddisfazione altissima: su una scala da 1 a 5 abbiamo risultati da 4,4 a 4,8. Poi siamo passati alla richiesta di valutare altri nuovi servizi: ampliamento del gioco, laboratori artistici, Pet therapy, ma anche iniziative a supporto della famiglia, come assistenza per i fratelli dei bimbi ricoverati, aiuti a domicilio dopo la dimissione, supporti tecnologici quali App o videochiamate, trasporti e anche alloggi".

In sintesi, riporta Masella, "abbiamo chiarito che, oltre al bisogno di essere meglio informati sui servizi già esistenti e non sempre noti, esistono alcune esigenze molto chiare: l'intrattenimento in ospedale, con giochi nuovi; una sorta di spazio gioco per i fratellini dei piccoli ricoverati, ugualmente apprezzato, ma più difficile da realizzare. Ma soprattutto la creazione di supporti logistici, come alloggi e servizi di trasporto casa-ambulatorio, che per alcuni genitori sono fondamentali. E altrettanto importanti sono ritenuti i servizi a domicilio, cioè il poter contare sull'aiuto dei volontari a casa, nella fase successiva alla dimissione dei bambini che necessitano di maggior impegno assistenziale".

Quanto a medici e infermieri, "nel 90% dei casi percepiscono positivamente la presenza del volontariato Abio all'interno delle strutture - evidenzia Antonello Zangrandi, ordinario di Economia delle aziende pubbliche e Distinguished professor presso la Scuola di direzione aziendale (Sda) dell'università Bocconi di Milano - I pediatri di libera scelta del territorio milanese" interpellati "si sono dichiarati molto favorevoli a un coinvolgimento del volontario a casa del paziente, ma il 60% si è mostrato meno propenso al coinvolgimento del volontariato presso il loro ambulatorio". Infine, i volontari intervistati hanno spiegato di prediligere, "nel 60% dei casi, un'interazione diretta con i caregivers e soprattutto con i pazienti, e si sentono particolarmente utili nei rapporti interpersonali con le famiglie. Circa la metà di loro, però, si ritiene meno adatto alle attività di supporto del paziente anche dopo la dimissione presso il suo domicilio. Ritengo che se si volesse prevedere una maggiore presenza all'esterno dell'ospedale, sarebbe necessario un percorso di formazione specifico".

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

A Milano il 22% dei bambini viene ricoverato in reparti non pediatrici

MilanoToday è in caricamento