"Con le tue labbra senza dirlo" in scena a Milano il 25 ottobre
Di e con Paolo Faroni
Condannato dal suo insegnante di italiano delle medie per aver disegnato durante un test di psicologia un buco in un albero (simbolo di un latente e futuro problema con la sessualità) un uomo sfugge al suo destino grazie a un nonno muto che lo indirizza alla poesia e alla ricerca di un amore che sfugga alla banale simbologia freudiana. Da una condanna a un’altra; l’uomo disegnerà per dieci anni una donna senza sapere chi sia, una donna osservata da una finestra una notte e poi persa di vista. Un lunedì di novembre, esce dal monolocale dove vive e dove, per lavoro, confeziona bigiotteria kitsch a domicilio, lavoro ingrato il cui unico vantaggio è che “non ho nessuno che mi comanda e mi sta con il fiato sul collo”. Esce con lo scatolone della bigiotteria che regolarmente consegna di persona l’ultimo lunedì del mese in quanto non si fida della posta e preferisce ritirare l’assegno con le sue mani. Quello che deve essere un giorno come tanti altri si trasforma in un viaggio allucinato in cui la donna del disegno, sotto forme diverse, fa capolino nella vita dell’ uomo; prima nell’atrio del palazzo, dove scambia la portinaia per lei, poi in treno, complice un delirante sogno in cui coppie da tutte le nazioni del mondo lo avvicinano per testimoniare quanto sono felici nello stare insieme. Fuggendo da loro, trova vestita da capotreno la donna che gli dice, con un invitante sorriso, una frase in francese che lui non capisce. Al risveglio, scende dal treno e decide di recarsi dall’amico Vinnie, attore gay che, deluso da un certo “teatro contemporaneo dalle atmosfere fosche e torbide” si è dato al teatro per ragazzi. Da lui vuole ottenere una riposta circa il sogno, e la traduzione della frase.
Dopo aver assistito all’ultima scena della bella addormentata nel bosco che lo catapulta nel ricordo di quando aveva provato la carriera dell’attore, otterrà dall’amico una risposta ben più grande e giungerà a una confessione….
Il monologo rientra nella formula del più tradizionale monologo di narrazione. Una sedia e l’attore in scena. Ma senza intenti civili e impegnati da un punto di vista sociale, è una variazione su un tema tipico della letteratura italiana; l’ amore cortese, l’identificazione in una donna delle aspirazioni dell’uomo, della sua meta ultima. Non solo “amore”, dunque: ma dilemma esistenziale, viaggio nella solitudine, racconto di una instancabile energia e desiderio di conoscenza che trova nella figura della donna, la sua metafora, la raffigurazione di questo viaggio. Per ottenere questo risultato pesco dai miei studi classici e così chiamo in causa due capisaldi del viaggio amoroso-cortese; Dante e Petrarca. E’ il nonno muto che inizia alla poesia il nipote a farli conoscere. Prima scrivendo sulla lavagnetta che usa per comunicare la parola L’AURA e in seguito la parola PASSI, con la quale il vecchio dice la sua riguardo ai versi danteschi. Tutto filtrato dall’ironia, dalla leggerezza con cui si guarda a certe cose del passato ma senza che per questo non abbiano il loro peso, il loro carico drammatico.
L’ ironia è una gravità velata di leggerezza.