Odissea al Pronto Soccorso
Odissea al Pronto Soccorso di Magenta Diffondo quanto accaduto a Raffaella Nova Santagostino, dirigente di scuola primaria, ora in pensione, e scrittrice (autrice di Le donne dimenticate, Milano, Santelli Editore, 2022). Per una caduta accidentale, la donna, di 85 anni, si è trovata costretta ad aspettare 8 ore al pronto soccorso dell’ospedale Fornaroli di Magenta. Nonostante la professionalità del personale, il carico di lavoro e di pressione si rivela eccessivo rispetto alla capacità del Pronto Soccorso, un risultato dei ripetuti tagli alla sanità che costringono gli operatori rimasti a compiere miracoli, stremati dalla fatica. Ecco il suo racconto: «Ore 8.32 mia figlia, famiglia casa lavoro, mi accompagna al Pronto Soccorso per caduta accidentale. Visita immediata. Ore 8.40 radiografia. Tutto perfetto. Troppo. La sala d’attesa si riempie: mamme con bambini piangenti, anziani spinti in carrozzina da aitanti nipoti. Donne, uomini di ogni età. Distinta signora in lino e collana etnica legge Stendhal. Attesa. Ancora attesa. Si chiede, si torna a chiedere. Domande/risposte. Un uomo alto in bermuda va allo sportello triage e torna a sedersi bestemmiando Dio. Una volta ci sarebbe stato un coro “Dio sia benedetto, benedetto il suo santo nome”. Nessuno benedice, neanch’io. Le 10, le 11, le 12. Mi dico che non devo lasciarmi andare a isterismi. Mi sento svenire. Sollecito l’infermiera allo sportello, mi fa entrare e adagiare su un lettino. Ho anche da coprirmi. Sono nella zona arrivo lettighe da ambulanza. Da ogni dove arrivano. Arrivano anziane signore in ordine: capelli tinti, smalto alle unghie avvilite per l’improvvisa fragilità. Un vecchio coperto da un asciugamano, livido, lineamenti immobili, quasi definitivi. E ancora e ancora. Giovani feriti sul lavoro. Bende insanguinate. E ancora e ancora. Un energumeno a torso nudo trattenuto da tre persone. E l’infermiera allo sportello corre a prendere le consegne dagli addetti alle ambulanze. Misura i parametri vitali, dirotta le barelle ai reparti. E corre allo sportello a calmare una folla che protesta, risponde al telefono, corre alle lettighe, ancora sportello e telefono. Ore 15.10. Vengo spostata al letto 12. Non vedo mia figlia che è rimasta fuori. Tirano una tenda. Lamenti e grida. La mia vicina che non vedo, da brava anziana donna lombarda si preoccupa di dire a qualcuno quel che c’è da pagare: bollette, tassa sulla casa. Non vuole morire con i debiti. Io penso di essere stata dimenticata nel lettino 12. Io? E gli altri? Nessuno è dimenticato. Alle 16.07 arriva mia figlia da non so dove. Mi porta all’ambulatorio ortopedico dove un medico cortese, attento ed estremamente professionale mi spiega con calma diagnosi, prognosi e terapia. Risponde alle mie domande da ignorante della medicina. Lo guardo. Mi sembra più sofferente di me. È in servizio dalle 8, digiuno, 25 pazienti in più, ore di straordinario non retribuite. Nelle sfilate militari giovani e forti gridano “Onore alla bandiera!”. Noi anziani pazienti senza voce “Onore al personale sanitario e vergogna a chi ha operato tagli alla Sanità!”». Esperienze come questa sono all’ordine del giorno negli ospedali italiani. Attendiamo chiarimenti da parte dell’ospedale magentino e dai responsabili della sanità lombardi (e non solo).