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Cultura

I teatri che a Milano lottano e non vogliono morire

Le sale deserte; gli attori, gli scenografi, i tecnici fermi: viaggio nell'agonia dello spettacolo. Alcune realtà, in città, affrontano un calo di fatturato del 95%. Ma la speranza della ripartenza non è un miraggio

C'è chi ha riaperto, solo per pochissimo, alla fine dell'estate; chi ha provato a ripensare i propri spettacoli e proporre nuove attività; e chi ancora ha puntato sullo streaming. Ma a circa un anno dall'inizio dell'emergenza pandemica tutti sono ancora costretti a rimanere chiusi. È questa la drammatica fotografia dei teatri della città. Il blocco delle attività teatrali, del resto, è il blocco di un intero ecosistema. La chiusura delle sale comporta infatti, oltre allo stop del personale direttamente coinvolto (direzione, amministrazione, biglietteria, maschere, bar), quello di artisti (attori, danzatori, musicisti, drammaturghi), tecnici (scenografi, macchinisti, costumisti, luci e suoni, attrezzisti), fornitori di servizi tecnici (trasporti, noleggio impianti), fornitori di servizi creativi (addetti alla promozione, grafici, stampatori, fotografi) e indotto (ristoranti e hotel, scuole di teatro, turismo, entrate fiscali). 

Teatri di Milano tra lockdown e ripartenza

Un anno di chiusura: la resistenza delle sale 

Già dal primo lockdown sono svariati i modi in cui i teatri milanesi hanno provato a far fronte a una situazione del tutto nuova. Molti hanno prodotto format video, realizzato contenuti ad hoc per bandi, proposto dirette su Facebook e riprogrammato il cartellone di spettacoli. Da quando è stato consentito, poi, alcuni sono riusciti a riprendere le prove e le attività di produzione.

"Con la fase estiva - afferma il nuovo direttore del Piccolo Teatro, Claudio Longhi - è ripresa l'operatività puntando sul chiostro e sul decentramento degli spettacoli. Poi con il secondo lockdown le prove sono potute continuare ma siamo stati costretti a sospendere le attività aperte al pubblico. In questa fase abbiamo realizzato spettacoli in streaming, proposti sempre in forma gratuita, attività online, video e podcast per documentare il lavoro che ancora non poteva essere restituito agli spettatori".

Per le sale che avevano in programma di debuttare in autunno, invece, non c'è stato nemmeno il seppur breve ritorno estivo. È il caso del Teatro Carcano, il cui direttore artistico, Fioravante Cozzaglio, ci racconta: "L'anno scorso abbiamo lavorato per il debutto autunnale, ma poi siamo stati nuovamente bloccati. Quindi dal vivo non abbiamo potuto fare nulla. Siamo stati del tutto fermi. L'unica prosecuzione è stata quella di attività su Internet, che però lasciano il tempo che trovano". Quasi lo stesso copione per il Teatro Manzoni che, dopo l'estate, ha presentato una stagione di 190 aperture di sipario: ha potuto farne due, il 9 e 10 ottobre 2020. Poi la nuova chiusura.

"Il lockdown - rilancia Federico Ugliano, direttore di Spazio Teatro 89, una sala di periferia nel quartiere di Quarto Cagnino - è stato terrificante, per noi ha significato il blocco completo di quasi tutte le attività: oltre a quelle della sala abbiamo spazi nei quali venivano organizzati corsi di musica, ginnastica e attività sociali per anziani come i 'Pomeriggi insieme': si è bloccato tutto". "Nessuna attività possibile - aggiunge Stefano Marafante del Teatro Martinitt - perché, pur con molte produzioni già pronte a ottobre, siamo rimasti appesi".

Ha 'in sospeso' almeno 50 mila spettatori con biglietti già acquistati per spettacoli annullati durante il primo lockdown il Teatro Repower di Assago, sala da 1.730 posti. "A primavera 2020 avremmo già superato le cento alzate di sipario per quell'anno, concludendo una stagione importante, caratterizzata da una risposta straordinaria del pubblico. Il nostro impegno è stato rivolto proprio verso gli spettatori che ci avevano già scelto, attraverso un contatto diretto. Pur nella enorme difficoltà di questa situazione, non abbiamo mai smesso di riprogrammare, di tenerci pronti per la ripartenza. Ciò è stato possibile soprattutto grazie alla presenza del title sponsor Repower Italia", commenta Giancarlo Sarli, amministratore delegato di Forumnet Spa, che gestisce il Mediolanum Forum e il Teatro Repower. "Il nostro teatro - aggiunge - può trasformarsi in set televisivo, in studio di posa, in residenza artistica di allestimento. Nel mese di ottobre, per esempio, abbiamo ospitato sul palcoscenico l’evento di presentazione delle sei start up finaliste dell’edizione 2020 del Premio Speciale Repower".

Perdite per milioni

La protratta chiusura (dalla fine dello scorso febbraio a settembre e poi da ottobre fino a oggi) ha ovviamente provocato enormi perdite ai teatri milanesi. Anche perché, oltre ai mancati incassi per gli spettacoli, sono venute meno le entrate per le produzioni realizzate e destinate a tournée che non si sono mai svolte. Il Fontana, ad esempio, parla di una riduzione fino al 40% del fatturato; l'Elfo Puccini quantifica il danno in circa due milioni di euro in meno. "Una stima delle perdite - mette comunque in luce il Piccolo - è un dato estremamente complesso che, per essere reale, deve necessariamente aspettare la fine dell’evento pandemico e l’esaurimento delle sue conseguenze. Per ora abbiamo dati parziali sui mancati incassi degli spettacoli e delle tournée cancellate, oltre a quelli sull'aumento dei costi per garantire i protocolli di sicurezza e sulle entrate perse per il mancato nolo. Ma ci sono tante variabili che, al momento, sono difficili da decifrare". Considerando il dato dei mancati incassi del 2020, comunque, anche questo teatro stima perdite per oltre 2 milioni e 300 mila euro. Stesso discorso per il Carcano che confrontando i bilanci parla di circa 2 milioni di euro persi rispetto al 2019.

Stima un calo del 50-55% del fatturato il Teatro Martinitt, grazie anche alla stagione estiva all'aperto di cinema e teatro. Molto peggio è andata allo Spazio Teatro 89, per il quale la perdita è nell'ordine del 95%: tutte le attività, teatrali e non, sono state bloccate dai provvedimenti del governo. Non parla di cifre il Manzoni ma la situazione è più o meno la medesima: con due sole alzate di sipario a ottobre 2020 e il blocco dell'attività convegnistica, gli unici introiti sono arrivati dall'affitto della sala per alcuni shooting fotografici aziendali. "Ma valgono lo 0,5% del fatturato", aggiunge il direttore Alessandro Arnone.

Le sale milanesi in alcuni casi sono riuscite a sopravvivere grazie alle assegnazioni pubbliche sia di Stato sia di enti locali. Il ministero ha conservato l'entità del finanziamento del 2019 anche a fronte dell'attività, per forza di cose, estremamente ridotta delle strutture. "Stiamo andando avanti grazie a un'oculata gestione e alle risorse che sono arrivate, quelle ordinarie, i crediti che avevamo e il fondo integrazione salari, a cui abbiamo fatto ricorso fino a settembre ma che forse utilizzeremo ancora - sottolinea Fiorenzo Grassi, direttore organizzativo dell'Elfo Puccini -. Diciamo che per ora siamo immersi in 'nebbie padane e anche romane', non abbiamo più la certezza di un interlocutore. Noi di ristori non ne abbiamo avuti, mentre altri teatri, anche luoghi che non esistono e vengono affittati di volta in volta ne hanno ricevuti fior fiori. Chi invece come noi opera attivamente e mantiene i propri impegni con i lavoratori non ha avuto nulla". 

"Gli interventi del Governo ci hanno permesso di arrivare fin qui - afferma Fioravante Cozzaglio del Carcano -. Abbiamo avuto il contributo usuale per intero anche se gli spettacoli non sono andati in scena. Poi abbiamo avuto ristori particolari legati alla differenza tra l'anno prima e quello dopo. Per quanto riguarda la nostra categoria in generale le risorse arrivate per l'emergenza singolarmente, ad esempio agli attori, sono state molto modeste". Quanto ai dipendenti dei teatri, in molti casi si sono trovati in cassa integrazione per diversi mesi; mentre gli artisti hanno potuto usufruire di ristori che però si sono rivelati insufficienti.

"Teatri privati come il Manzoni, con accesso modesto a contributi pubblici, fanno già fatica normalmente, figurarsi quando il botteghino si azzera", commenta Alessandro Arnone: "L'impatto è stato devastante, abbiamo agito sulla leva dei costi e ci è venuta incontro la cig, anche per garantire posto di lavoro a queste persone. Abbiamo cercato di negoziare una riduzione dell'affitto, ottenuta in modo parziale. Poi è arrivato un contributo straordinario dal Ministero che ci ha permesso di galleggiare. Ma è tutto il Paese ad andare male, tanto è vero che avremo un presidente del consiglio straordinario che ha già salvato l’euro".

Non ha potuto usufruire di alcun ristoro dedicato allo spettacolo dal vivo, invece, il Teatro Repower. Spiega Giancarlo Sarli: "Il Ministero ha previsto di sostenere le sole attività che si occupano di programmazione dello spettacolo dal vivo in modo esclusivo. Noi, che con la medesima ragione sociale (Forumnet Spa), gestiamo sia l’impianto sportivo Forum che il Teatro Repower (e siamo quindi doppiamente penalizzati dagli effetti della pandemia), siamo stati esclusi dalla possibilità di partecipare al piano dei ristori ed abbiamo dovuto fare ricorso in quanto nel Teatro Repower svolgiamo la medesima attività degli altri teatri ammessi ai ristori".

Quale riapertura?

Il mondo dei teatri ha spesso protestato per la poca considerazione attribuita ai luoghi di cultura, che sono rimasti chiusi mentre molte realtà produttive sono tornate in attività. In particolare, l'universo dello spettacolo ha più volte sottolineato come quello delle sale (anche cinematografiche), nel momento in cui vengono rispettate tutte le norme anti contagio previste, sia da considerare un contesto sicuro. Ma non tutti la pensano in questo modo. "Credo sia inutile continuare a protestare - sottolinea Fioravante Cozzaglio del Carcano -. C'è stata poca sensibilità da parte della nostra categoria. Preferisco avere gli ospedali vuoti ai teatri pieni. Ovviamente quando lo si potrà fare in sicurezza, a pandemia contenuta, sarò contentissimo che si riapra. In termini sociali questo virus ci ha messo alla prova, sono venuti a galla i nostri limiti. Quello che io mi auguro è che la nostra società riesca a ripensare se stessa. È bene riflettere sul senso delle cose e anche su come si fa teatro".

"Io mi rendo conto - afferma Claudio Longhi del Piccolo - che siamo in una situazione terribile che riguarda non il teatro, ma l'intero Paese. Non voglio quindi rivendicare i riflettori tutti per noi. Però non possiamo neanche fare finta di non esistere. Il teatro risponde a una profonda necessità antropologica. E qui siamo a Milano, una città che ha donato all'Italia l'idea di teatro come servizio pubblico. In questo momento si dovrebbe lavorare sulla prospettiva della riapertura da un punto di vista di progettazione. E non si tratta solo di energie economiche: personalmente condivido l'intervento di Del Corno che chiedeva a Draghi di fare un gesto forte dando un orizzonte di ritorno ai teatri. Per la ripartenza dei luoghi di cultura ciò è fondamentale e il sostegno principale in questo momento sarebbe proprio quello di avere una prospettiva certa del riavvio". La richiesta dei teatri milanesi è quella di avere una data per una riapertura definitiva, perché anche se molto lontana, consentirebbe di fare programmazione, 'conditio sine qua non', questa, per rimettere in moto tutta la complessa e articolata macchina dello spettacolo, una macchina che il sistema delle zone rischia di mandare in cortocircuito. 

Anche soltanto pensare a una riapertura è più che mai difficile quando non si ha un orizzonte temporale determinato e all'incertezza sul futuro si aggiunge la problematica di una sempre più forte disabitudine dei cittadini a qualsiasi evento culturale. "Avvertiamo innanzitutto la necessità di riattivare un dialogo con gli spettatori e con Milano - affermano Gianluca Balestra, presidente del Teatro Fontana, e Martina Parenti, responsabile della promozione -. È già passato un anno dalla prima chiusura e la perdita di abitudine rispetto alla cultura va mitigata. Il teatro è un luogo vitale, è socialità, interazione. Ed esiste solo se fatto dal vivo. Si tratta di una forma di mediazione culturale che c'era già nell'Antica Grecia. Un virus non può mettere a repentaglio l'evoluzione di una specie. In questo momento è necessario riattivare una modalità che serva ad accrescere il senso civico e che dia gli strumenti per poter entrare in contatto con contenuti che arricchiscono l'individuo".

La maggior parte dei teatri di Milano conta di riaprire all'indomani dell'emergenza con il repertorio accumulato e gli spettacoli interrotti. Sulle modalità però c'è una grande incognita. "Un po' di cose dovranno cambiare - riflette Fiorenzo Grassi dell'Elfo -. Studieremo dei meccanismi di mutazione. Il nostro teatro si è già dimostrato in grado di cambiare pur rimanendo sempre fedele al suo nucleo stilistico". "Il tema non è solo quello della chiusura - nota Claudio Longhi del Piccolo -, in parallelo si dovrebbe anche affrontare il problema del rilancio: quando i teatri riapriranno, la situazione sarà molto complessa. Dovremo convivere ancora con distanziamento sociale e quindi i ricavi saranno abbattuti. In più la situazione che abbiamo vissuto ha alimentato la sfiducia: agli spazi teatrali viene associata una percezione di pericolo. Si dovrà compiere un grosso sforzo per riavvicinare lo spettatore".

Fa grande affidamento sui vaccini Giancarlo Sarli del Teatro Repower: "L’avanzamento della campagna vaccinale rappresenterà senza dubbio la chiave di volta per un ritorno alla normalità per la fruizione del tempo libero, ma anche per permettere ad artisti e tecnici di lavorare in sicurezza". Riguardo alla sostenibilità, il tema appare più complesso: "Per gli allestimenti più imponenti, la percentuale di riempimento che consente la copertura dei costi è molto alta, ed è molto lontana dalle capienze massime consentite nel corso della pandemia", continua: "Troverei sbagliato aumentare il prezzo dei biglietti, credo invece che la detassazione degli incassi potrebbe rappresentare almeno una parziale compensazione per i mancati introiti qualora dovesse permanere l’obbligo di distanziamento".

L'importanza di date certe è messa in luce anche da Alessandro Arnone del Manzoni: "Non chiediamo contributi, ma un piano per riaprire", afferma citando anch'egli la lettera dell'assessore milanese alla cultura Filippo Del Corno su una pianificazione non reversibile: "Non siamo una panetteria: se ci dicono di riaprire domani, non ricominciamo a impastare. Abbiamo bisogno di almeno quattro settimane. Dobbiamo contattare le compagnie, organizzare le prove degli attori e vendere i biglietti".

Streaming

Molti teatri durante la pandemia hanno anche proposto spettacoli in streaming, alcuni gratuitamente, altri a pagamento, ma in entrambi i casi questa modalità non è stata mai intesa come una concreta alternativa agli spettacoli dal vivo. Come hanno ricordato in un'altra occasione le attrici di Teatro Delivery, che a Milano porta spettacoli a domicilio, quello del teatro è un rituale antichissimo che può essere celebrato solo dal vivo: "Noi non ci nutriamo di solo cibo, siamo esseri umani". Quella delle performance online, ad ogni modo, è stato uno strumento importante per continuare a intrattenere una relazione con il pubblico che altrimenti sarebbe venuta meno in toto. 

Al Piccolo hanno proposto streaming gratis ma non di spettacoli in senso stretto. "La fisica compresenza all'interno di uno spazio è imprescindibile per il teatro - sottolinea il direttore Longhi -, tutto il resto è approssimazione, si tratta di un universo completamente diverso. Detto questo lo streaming è stato fondamentale per continuare ad alimentare una riflessione sul teatro nel momento in cui lo spettacolo dal vivo non poteva essere celebrato". Sulla stessa lunghezza d'onda è anche l'Elfo Puccini che in epoca di emergenza sanitaria ha operato su diverse piattaforme, caricando anche video degli spettacoli su YouTube e facendo dei servizi sul dietro le quinte, con tanto di interviste agli attori. Anche in questo caso tutto è stato proposto in forma gratuita e con l'obiettivo di mantenere il rapporto con i propri spettatori. C'è invece chi come il Teatro Fontana allo streaming ha preferito dirette su Facebook, video su YouTube e cortometraggi teatrali per la tv. Tempo di sperimentazione quello della chiusura forzata anche per il Carcano, che ha realizzato interviste a registi e attori ed è stato impegnato nella preparazione di Zoo di vetro, regia di Leonardo Lidi, a breve in onda insieme alla produzione del teatro su Goldoni. 

Il Teatro Martinitt è invece tra quelli che hanno sperimentato lo streaming a pagamento. "Ne abbiamo programmato uno a Natale", conferma Stefano Marafante, "che a nostro avviso ha avuto una certa attenzione dal pubblico con 100-150 acquisti. Per ora è un test". Ma anche dalla sala del quartiere Rubattino sono critici sullo streaming come mero sostituto dell'attività dal vivo. "La nostra idea parte dal presupposto che una produzione, dopo che è stata portata in tournée, ha 'finito il suo ciclo'. Per riproporla occorrerebbe ricostituire la compagnia, rifare le prove, rivendere i biglietti. In questo caso, lo streaming dopo la fine di una tournée può essere inteso come creare una tournée aggiuntiva, disponibile online per chi non ha potuto vedere lo spettacolo dal vivo. Lo streaming, in tal senso, è un 'divulgare in più', non il protagonista. Questa visione è più umana e, secondo noi, più vicina al senso dello spettacolo dal vivo".

Anche per Federico Ugliano lo streaming deve essere visto "come un canale di espansione e non di sostituzione". Spazio Teatro 89 ha programmato due spettacoli in collaborazione con Serate Musicali, partner storico della sala: "Abbiamo accolto volentieri la loro richiesta, ma in generale pensiamo malissimo dello streaming come sostituto dell'esperienza dal vivo. Ci piacerebbe che diventasse semmai una 'gamba in più', che può permettere a chi è distante di non perdere uno spettacolo".

Diverso l'approccio di teatri che non hanno proprie produzioni, come il Manzoni. "Capisco che chi le abbia - afferma Alessandro Arnone, direttore del teatro - approfitti di mesi complicati per mettere qualcosa in streaming, noi non potremmo. Ma io non credo in questo strumento. La bellezza del teatro è di essere spettacolo dal vivo. Stiamo crescendo generazioni che vivono la realtà mediata da uno schermo, a partire dal telefonino, dal tablet, dalla tv. La bellezza del teatro, da 2.500 anni, è proporre dal vivo, entrare in sala, trovarsi in compagnia, vedere l'attore che respira davanti a te, che se manca la battuta si inventa un modo. Lo streaming non è e sarà mai succedaneo ma semmai una panacea perché 'dobbiamo dire qualcosa', deve essere di brevissima durata".

Punto di vista condiviso da Giancarlo Sarli di Forumnet per il Teatro Repower. "Lo streaming è un tema interessante e in evoluzione", afferma, "ma la fruizione senza un 'luogo deputato' viene contaminata dagli stimoli esterni, dalla quotidianità, dall’abitudine al multitasking sullo smartphone. Un appuntamento atteso, la convivialità, sedersi in platea, mentre le luci si spengono e si accendono quelle sul palcoscenico, perdere la cognizione del tempo che passa perché assorbiti dalle storie in scena: niente di questo può essere replicato con un tasto play". Per Sarli, "lo streaming non può sostituire lo spettacolo dal vivo, l’esperienza 'globale' di cui parlavo prima; può invece rappresentare uno strumento utile per contenuti speciali, educativi, di approfondimento, per 'coltivare' la passione per il teatro o utilizzare il linguaggio delle arti performative per veicolare messaggi: nel mese di ottobre, per esempio, il nostro palcoscenico ha ospitato la tappa finale della maratona social 'Fermata Obbligatoria'. L’esibizione, senza pubblico, è stata trasmessa in diretta streaming su MyMovies.it e Repubblica TV".

Le speranze dei teatri milanesi per il futuro

Immersi nell'incubo di una pandemia che ha stravolto le vite di tutti, si potrebbe pensare che il teatro e la cultura in generale in questo momento non siano la priorità. Ma c'è qualcosa di estremamente sbagliato in questa prospettiva. Per riappropriarci di una normalità che sia davvero completa, infatti, non possiamo prescindere dai rituali che rendono coesa la nostra società civile: poter tornare ad assistere a uno spettacolo ci consentirebbe finalmente di essere di nuovo dei cittadini e non più degli atomi rifugiati nei gusci delle nostre abitazioni.

"Il pubblico teatrale - afferma Giancarlo Sarli del Teatro Repower - è disciplinato, attento, non avrà problemi a indossare la mascherina durante lo spettacolo per una tutela ulteriore, personale e per gli altri; inoltre, i nostri ampi spazi ci consentono di organizzare agevolmente percorsi di entrata ed uscita differenziata. Credo sia importante mantenere alta l’attenzione sui luoghi di spettacolo, che da subito si sono adeguati alle disposizioni sanitarie, e trasmettere fiducia agli spettatori".

"Questo periodo di sospensione ci ha insegnato a discernere cosa è veramente importante nell'esistenza di un individuo - considera Gianluca Balestra del Fontana -. E tra le cose che veramente contano c'è senza dubbio il teatro. Io ho la fortuna di fare questo lavoro, sono a contatto continuo con il processo creativo, che è sempre un lieto evento, pieno di stimoli. Per questo mi sento parte attiva nel mio tempo, ma questo vale anche per gli spettatori. Si tratta ci celebrare un rito laico, incontrando altre persone e condividendo la magia di uno spazio. Il teatro non è mero intrattenimento, ma accrescimento delle coscienze e dei bagagli esperienziali. Spero che la paura dello sconosciuto al nostro fianco non prenda mai il sopravvento. Per tornare alla normalità dobbiamo poterci ancora fidare del prossimo".

"C'è un bisogno sociale di avere spettacoli dal vivo e i teatri hanno una grande responsabilità: con la pandemia si sono resi conto di essere portatori di un servizio di pubblica utilità - afferma Fiorenzo Grassi dell'Elfo -. Sospendere l'attività culturale è come bloccare i tubi dell'acqua. Nel suo manifesto Paolo Grassi diceva che i teatri devono essere considerati come l'erogazione dell'acqua o dell'elettricità. Si tratta, appunto, di un servizio pubblico irrinunciabile". Che il teatro sia una necessità l'ha provato l'affetto di moltissimi milanesi che hanno testimoniato la loro vicinanza a questi luoghi di cultura e spesso, rinunciando ad esempio al rimborso dei biglietti, hanno tentato di dare anche un supporto economico che potesse attenuare la profonda crisi di queste realtà.

Alessandro Arnone, del Teatro Manzoni, "sogna" una mini-stagione tra aprile e giugno, pur se con un certo anticipo: "Ma la speranza è che in autunno si possa parlare di capienza piena, non dimezzata, con la popolazione vaccinata. Ci mancano i nostri spettatori, che sono molto fedeli. Ci manca il rito collettivo del teatro. Vogliamo che il governo trovi la soluzione per la ripartenza di teatri e cinema: credo sia una questione di buona volontà, perché sotto il profilo della sicurezza sanitaria siamo persone serie e rispetteremo le prescrizioni".

"Credo che, almeno fino a dicembre 2021, vi saranno limitazioni", afferma Stefano Marafante del Teatro Martinitt: "Per ora possono andare bene i protocolli di Lombardia e Lazio già applicati quest'estate, con una capienza dimezzata rispetto a quella effettiva in base al distanziamento di un metro. Non sarà facile recuperare il pubblico che si è abituato a non uscire dalle dieci di sera in poi. Sarà quasi come ricominciare da zero. Lo spettacolo dal vivo è stato murato vivo". 

Allarga l'orizzonte guardando a quello che è accaduto in altri settori Federico Ugliano di Spazio Teatro 89. E il confronto è impietoso. "Sono contento che mia figlia, di quattro anni, sia tornata a scuola. Ma se questo si può fare, dovrebbero spiegarci perché non va bene accogliere persone con mascherina, senza febbre e con distanziamento in spazi molto più ampi delle aule scolastiche. Lo stesso vale per i bar e i ristoranti. Si è deciso che in zona gialla possono aprire a pranzo. Ma perché qualcuno può partecipare alla ripartenza e noi no?".

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