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Alessandro Rovellini

Direttore responsabile

La batosta di Bernardo e Salvini in 8 mosse, spiegate

Nessuno pensava che il pediatra milanese potesse farcela; ma la sconfitta, al netto dell'astensionismo, è molto sonora. E parte da lontano

Il primo a metterci la faccia è stato Salvini. Che ha detto: "E' stato scelto un candidato troppo tardi". La cosa è curiosa, visto che lo stesso leader del Carroccio, nei mesi scorsi, predicava calma e la necessità di "prendersi del tempo" nella scelta della persona giusta, mentre si accatastavano rinvii su rinvii. Alla fine, Beppe Sala è stato riconfermato sindaco con percentuale quasi bulgara e vicina al 60%. Non che sia stato risultato inaspettato, sia chiaro. I foglietti dei sondaggisti rimbalzano nelle sedi di partito da mesi. Tanto che l'audio sconsolato di Bernardo sui mancati versamenti della campagna è quasi un ultimo, disperato tentativo per dire alla coalizione: "Mi avete già abbandonato, ma io sono ancora qui". La sensazione, come abbiamo scritto più volte, è che molti abbiano lasciato la barca durante il viaggio. Bernardo sarò probabilmente ricordato come il Jalisse della politica meneghina, senza perla sanremese (copyright di Luca Sofri). Ci sarà tempo per analizzare i flussi elettorali, ma qualche riflessione a caldo sull'oggettiva débâcle del centrodestra si può fare.

1) L'astensionismo ha giocato un ruolo fondamentale. Mai così poche persone hanno eletto il proprio sindaco a Milano. Gli elettori convinti da 5 anni di Sala sono andati mediamente compatti, gli indecisi non si sono presentati. Bernardo, di fatto, non ha convinto nessuno che non fosse votante centrodestra a prescindere.

2) Sala ha portato avanti una campagna elettorale classica, senza eccessi ma senza alcuna sbavatura. È sempre sembrato sicuro di sé e probabilmente non ha mai pensato di perdere. Le liste a suo sostegno sono parse molto unite e in comunione d'intenti. La gente se n'è accorta. Ha proposto un programma semplice e comprensibile, propaggine del suo primo mandato a Palazzo Marino.

3) Di contro, la campagna dell'avversario è parsa involuta, a tratti sgangherata, mandata avanti a spinta da slogan vuoti e probabilmente con idee in cui nemmeno il pediatra credeva. Il programma, di quasi 100 pagine, probabilmente non è stato letto da nessuno.

4) Bernardo non ha sfondato come personaggio. Troppo borghese per gli estremisti, troppo estremista per i borghesi (chi gira con una pistola in reparto?). La sua lentezza nel discostarsi da fascisti et similia è stata evidentemente notata. Sapere di personaggi davvero borderline tra i nomi delle sue liste ha frenato molti. Può uno stimato medico essere accostato a chi liscia il pelo ai novax? All'inizio di campagna, ha detto che avrebbe fatto il sindaco una parte di giornata, il dottore l'altra. Ma si può essere sindaci a mezzo servizio di una città da 1 milione e 300mila abitanti?

5) I leader di FI, FdI e Lega hanno parlato alle proprie liste e non "per" Bernardo. Gli opachi comizi finali, con Meloni e Salvini che si evitano per comparire il meno possibile, dicono tutto. Non una grande strategia: tutti i grandi partiti del centrodestra a Milano sono sotto le percentuali delle Politiche. Salvini, poi, non ha mai tenuto profilo basso - "Ci sarà una grossa sorpresa per la sinistra lunedì" - sapendo benissimo che tutti gli indicatori dicevano il contrario. E' stato punito anche per questo.

6) Paragone, l'ex giornalista complottista candidato con Grande Nord, qualche voto l'ha mangiato dall'alveo del populismo di destra. Non che abbia bonuccianamente "spostato gli equilibri", però bene a Bernardo & Co. non ha fatto.

7) Milano per l'opposizione in generale è una metropoli difficile, ostica. È la terza legislatura consecutiva dove si conferma il centrosinistra. Grande risultato, è vero. Ma non così straordinario come l'exploit di Pisapia. In città le cose funzionano abbastanza e gli elettori non vedono motivo di cambiare l'usato garantito (più o meno) per il nuovo ignoto.

8) Trema il Pirellone? È presto per dirlo, da qui al 2023 può succedere molto. Se il centrosinistra scegliesse un candidato verosimile, e per tempo, la partita è aperta. E non è scontato che il Carroccio ci arrivi da favorito. 

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