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La partita di calcio tra giornalisti e carabinieri per Federico, bimbo ucciso dal padre

L'associazione Federico nel cuore organizza la gara per sensibilizzare sul tema

Sabato 30 ottobre carabinieri e giornalisti scendono in campo per sostenere l'azione dell'associazione Federico nel cuore Onlus che da anni si batte contro la violenza sui bambini, condividendo il ruolo educativo e prioritario che lo sport deve avere sulla crescita delle future generazioni. Si giocherà dalle 14.30 presso il campo di calcio U.S. Triestina in via Alessandro Fleming, Milano. Testimonial d'eccezione, sarà Javier Zanetti.

L'evento è in memoria del piccolo Federico ucciso in ambito protetto dal padre. È un evento straordinario e importante in quando professionisti della comunicazione e i carabinieri scendendo in campo per sensibilizzare riguardo la necessità che i bambini vengano maggiormente tutelati e protetti. E il primo passo è quello di educare i bambini anche tramite lo sport alla non violenza.

Chi era Federico?

Federico - racconta la sua mamma, Antonella Penati, sul sito dell'associazione da lei voluta - era nato a Milano precisamente a Segrate il 19 Aprile 2000 era, come amava lui stesso definirsi, un bambino del terzo millennio. 

Federico era sportivissimo, da quando aveva 4 anni al mare faceva surf e di inverno sciava con me, aveva raggiunto in poco tempo 4 livelli federali. Al sabato andava a cavallo, il suo cavallo preferito si chiamava Duca, ma durante la settimana quello che per lui era diventato fondamentale negli anni era fare il portiere. Era il portiere più stimato dell’Accademia lo chiamavano la saracinesca, perché non faceva mai passare la palla. Ci teneva così tanto che mi chiedeva tutte le sere sia in casa che fuori di allenarlo tirandogli la palla. Era un grande tifoso dell’Inter.

Il padre di Federico era di origini egiziane ma stava in Italia da molto tempo. All’inizio era una persona integrata, colta, un operatore turistico stimato. Ma poi è drammaticamente cambiato sin da subito la nascita del figlio. "La mia vita e quella del mio piccolino - scrive la mamma - era precipitata in un incubo fatto dalle continue sparizioni e continui ritorni di suo padre, ogni volta sempre più disturbato, violento ed ossessivo. Come madre feci una scelta di allontanare la follia, la cattiveria , del padre dalla vita di Federico. Sono però iniziati anni di soprusi, minacce, aggressioni, vero e proprio stalking fatto di minacce, telefonate in tutte le ore del giorno e della notte, inseguimenti in auto, (pochi giorni prima dell’uccisione mi stava buttando giù da un ponte, con a bordo Federico)".

"La Legge sullo stalking - prosegue il testo -  era in discussione proprio in quei giorni in Parlamento. È diventata legge 3 giorni dopo la sua morte. Mi sono rivolta ai carabinieri, al Tribunale dei Minori di Milano, ai Servizi sociali di San Donato pensando mi potessero aiutare. Furono proprio questi ultimi che mi imposero di fare vedere al bambino al padre (sottovalutando la sua pericolosità) tentai di oppormi ma fu tutto vano. Se mi fossi opposta alle visite in ambito protetto me lo avrebbero tolto così mi dicevano ogni volta che segnalavo l’aumento del disagio paterno. 'Signora cosa vuole che succeda ci siamo qui noi, ce ne assumiamo noi la responsabilità di suo figlio, lei pensi a fare la madre'".

La morte di Federico in uno spazio protetto

"Mi hanno recapitato - ricorda - mesi dopo (a dicembre, il primo Natale senza Federico) via posta dal Comune una lettera in cui mi si diceva: 'Il nostro staff non centra nulla'. Mi definirono esagerata, ero colei che voleva ledere la figura genitoriale paterna. Persone che ricoprono responsabilità di servizi così tanto delicati non vedevano che l’unica verità era quella di un genitore pericoloso, malato instabile ed imprevedibile. Ho sempre ritenuto giusto che un bambino dovesse avere sia il padre che la madre, ma suo padre non era una persona in grado di essere una figura tutelante. L’orrore l’ha dimostrato. Avrei preferito essere esagerata ma avere mio figlio in vita. Mio figlio non c’è più. Circa 2 anni prima dopo lunghissime battaglie legali, ottenni che Federico incontrasse il padre in uno spazio protetto".

"Più cercavo di segnalare la gravità della situazione e più le persone preposte alla tutela di Federico, invece di aumentare la vigilanza, la riducevano sino ad annullarla del tutto", accusa la donna. Operatori e assistenti che poi sono stati assolti da ogni tipo di accusa nei processi successivi ma le domande che attanagliano questa madre restano tutte: "Come può un bambino essere ucciso con 8 coltellate in piena ASL. Il suo assassino è entrato armato con pistola e coltello da macelleria. E come mai mio figlio si è difeso da solo? Il padre di Federico ha avuto il tempo di sparare (colpendo solo di striscio Federico) il mio cucciolo ha tentato di scappare ma il padre ha avuto anche il tempo di inseguire Federico raggiungerlo ed accoltellarlo più volte. Le ferite alle braccia e alle mani dimostrano che Federico ha cercato di difendersi da solo (né il colpo di pistola, né le coltellate alla schiena erano state mortali). La sua morte è avvenuta ben 57 minuti dopo il primo colpo". E non c'è dubbio, come dice la mamma, che "se vi fosse stata un'adeguata sorveglianza, forse Federico sarebbe stato ferito me non sarebbe morto"

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