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Venerdì, 26 Aprile 2024
Economia

Coronavirus, per gli imprenditori crisi pesante: «Ma i soldi non arrivano»

L'indagine di Confcommercio: quasi nessuno ha ricevuto i soldi della cassa integrazione. E mancherebbero misure ritenute fondamentali

In moltissimi casi tarda ad arrivare il denaro della cassa integrazione. Lo rivela una indagine realizzata da Confcommercio presso un campione di 1.752 imprenditori del terziario di Milano, Lodi e Brianza, secondo cui le misure finora messe in campo per imprese e lavoro autonomo sono del tutto insufficienti. Molti imprenditori sottolineano la sproporzione tra il danno subito con il lockdown e le risorse stanziate. E che, per giunta, non sono ancora arrivate nella maggioranza dei casi.

Secondo l'indagine, il 55 per cento delle imprese del commercio, turismo e servizi ha chiesto la cassa integrazione. In particolare è ricorso a questa misura il 70 per cento delle imprese del turismo-ristorazione, ma in questa "fascia" i dipendenti non hanno ancora ricevuto i soldi in ben il 95 per cento dei casi.

Il 76 per cento degli imprenditori reputa prioritario partire con indennizzi e contributi a fondo perduto, mentre l'11,5 per cento di essi ritiene indispensabile anzitutto posticipare le scadenze fiscali. L'intervento più utilizzato tra quelli messi in campo dai decreti Cura Italia e Liquidità è, finora, il contributo Inps di 600 euro, indicato dal 91,5 per cento degli imprenditori. Ed è molto critico il giudizio sul prestito fino a 25 mila euro con garanzia totale da parte dello stato: l'80 per cento degli imprenditori ritiene insufficiente la risposta delle banche. Come è noto, sono tantissime in tutta Italia le segnalazioni di difficoltà ad accedere a questa misura di sostegno.

Ripartire: gli imprenditori sono pronti?

L'82,3 per cento degli imprenditorri intervistati ha dichiarato di essere pronto a ripartire garantendo i livelli di sicurezza richiestti come la sanificazione degli spazi, la fornitura di dispositivi di protezione e il distanziamento dei clienti. Pronti a ripartire con queste misure il 90,5 per cento degli imprenditori del commercio, il 43 per cento degli imprenditori della ristorazione. Per il 70,7 per cento, queste misure di prevenzione comporteranno maggiori costi e per giunta in un quadro di mercato molto complicato, che probabilmente non consentirà di recuperare le perdite accumulate con il lockdown. Tra i più pessimisti (87,5 per cento) gli imprenditori del turismo-ristorazione.

La chiusura definitiva è prospettata dal 2 per cento degli intervistati, percentuale che cresce parecchio (10 per cento) nel settore degli asili nido privati. Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio Mi-Mb-Lo, dichiara che «la stragrande maggioranza delle imprese non ha ancora ricevuto gli aiuti promessi. Il problema è tanto più drammatico se si pensa che la Fase 2 sarà progressiva e sperimentale, dunque tutt'altro che in grado di permettere una ripartenza piena. Il che significa aziende e posti di lavoro realmente a rischio. La situazione che abbiamo evidenziato è relativa alla grande Milano, ma è simile su tutto il territorio nazionale. I sostegni previsti dai vari decreti, oltre a non essere ancora arrivati alle imprese per via di tortuose procedure burocratiche, sono ancora insufficienti».

Per Sangalli «mancano indennizzi e contributi a fondo perduto, una moratoria fiscale per il 2020 anche sul fronte dei tributi locali e aiuti per gli affitti commerciali». Strumenti straordinari senza cui, avverte il presidente di Confcommercio, «non ci potrà mai essere un Fase 2 né tantomeno 3 senza sostenere soprattutto la rete delle micro e piccole imprese non più in grado di reggere ulteriori perdite economiche».

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