Dal campo rom i blitz degli "operai": presa la banda (familiare) da 700mila euro
Sette in carcere, obbligo di dimora per altri due. Così la banda rubava mezzi dai cantieri e li faceva sparire
In dieci minuti entravano in azione, colpivano e andavano a segno. Pettorine catarifrangenti addosso e mascherine "d'ordinanza" sul volto, individuavano il bersaglio e lo centravano. Poi sparivano e facevano sparire anche il bottino. E quando c'era da temporeggiare erano talmente tanto bravi da creare un cantiere anche laddove non c'era, soltanto per continuare a restare invisibili. Quello che non potevano sapere, però, è che da qualche mese invisibili non lo erano più, perché sulle loro tracce c'erano i carabinieri che alla fine li hanno arrestati.
Sette persone - sei uomini e una donna - sono finite in cella martedì mattina a Milano in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere con le accuse di estorsione e associazione per delinquere finalizzata alla commissione di furti aggravati e ricettazione. I sette sono ritenuti parte - insieme ad altri due uomini colpiti con l'obbligo di dimora - di una banda specializzata nel rubare mezzi d'opera dai cantieri in giro per le province di Milano, Pavia e Varese.
La famiglia nel campo nomadi
Praticamente tutti gli arrestati sono parte della stessa famiglia sinti residente nel campo nomadi di via Chiesa Rossa a Milano e il capo della banda è considerato uno dei "vecchi" dell'insediamento, mentre sua moglie - l'unica donna finita in manette - si occupava di tenere i contatti con la rete di ricettatori che poi portava il bottino fuori dall'Italia.
VIDEO. La banda in azione in un cantiere
I carabinieri di Rho, guidati dal capitano Giuliano Carulli, hanno acceso i loro fari sul gruppo a febbraio 2020, quasi per caso. Passando fuori da un hotel di Lainte, già chiuso per l'emergenza covid, i militari hanno notato un'Audi Q5 intestata a un uomo di Novate Milanese e poi in realtà risultata rubata. Monitorando la macchina, i militari sono arrivati al campo di Chiesa Rossa e ad alcuni dei componenti della banda. Così mettendo insieme le tessere del puzzle, gli investigatori hanno scoperto la "specializzazione" del gruppo, abilissimo nel far sparire da aziende e cantieri bobcat, escavatori, mezzi per il movimento terra.
I finti operai e i finti cantieri
Il copione era sempre lo stesso, studiato nei minimi dettagli ed evidentemente funzionante, tanto che da febbraio a settembre il gruppo è riuscito a mettere a segno tredici furti. Dopo aver individuato l'obiettivo, la banda verificava turni e spostamenti degli operai così da sapere la fascia oraria giusta per colpire, quasi sempre in pausa pranzo o subito dopo la chiusura. Terminata la fase di preparazione, i ladri passavano all'azione e lo facevano proprio "travestendosi" da operai.
Per raggiungere le aziende o i cantieri, stando alle indagini, gli arrestati creavano una sorta di mini convoglio: un'auto "pulita" davanti a fare da staffetta - in modo tale da intercettare eventuali controlli delle forze dell'ordine -, una seconda macchina dietro, rubata, e in fondo un camion, anche quello rubato, da utilizzare poi per caricare a bordo il "bottino". A quel punto, il mezzo rubato - con delle targhe false, create da loro - veniva lasciato per qualche giorno in aree industriali dell'hinterland di Milano o in dei finti cantieri creati dagli stessi ladri con cartelli e transenne.
Avuta la certezza che nessuno "reclamasse" l'escavatore o il bobcat, la banda li affidava poi a dei camionisti compiacenti - tre sono stati arrestati in flagranza durante le indagini - che li trasportavano in Bulgaria o Romania con dei documenti falsi.
Durante i sette mesi di indagini - rese particolarmente complicate anche dal fatto che gli arrestati parlavano tra loro in dialetto sinti e dialetto abruzzese - la banda ha messo insieme blitz per un valore di 700mila euro. In un anno, la riflessione di uno degli investigatori, avrebbero "guadagnato" oltre un milione di euro.