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Cultura

"Aggiungi un posto a tavola" a Milano, la recensione: un "classico" dal gusto moderno

Tanti temi attraversati dal classico del teatro musicale: un "tuffo" negli anni '70 con molti riferimenti alla contemporaneaità. E musiche entrate nell'immaginario collettivo

Cinque minuti di applausi con standing ovation da parte di quasi mille e cinquecento persone, nel teatro che servì a sostituire la Scala durante l'ultima ristrutturazione del tempio mondiale della lirica, possono bastare a smentire la possibile critica di spettacolo «dal gusto antico» per "Aggiungi un posto a tavola" (in replica al Teatro degli Arcimboldi fino al 26 gennaio), certificandone invece la freschezza e la modernità. La più nota commedia musicale italiana venne scritta negli anni '70 ed è ormai un classico entrato negli scaffali immaginari della tradizione. Un prodotto culturale d'esportazione, peraltro, visti i 15 milioni di spettatori che conta in tutto il mondo.

Aggiungi un posto a tavola (foto M. Fusco)

Gianluca Guidi, ormai da tempo, ripercorre in questo spettacolo le orme del padre Johnny Dorelli nella parte di don Silvestro, ma ne ha curato anche il riallestimento per venire incontro a gusti inevitabilmente modificati, senza tuttavia intaccare l'impianto originario, in particolare i motivi musicali divenuti patrimonio comune, a partire da quello che dà il titolo all'opera. D'impatto la scenografia rotabile riadattata da Gabriele Moreschi, con tutto il necessario per orchestrare una storia semplice ma non semplicistica, ricca di ambientazioni diverse, dall'arca alla cattedra d'altare, dalla piazza del paese alla tavolata finale. Una storia che parla di amore in senso stretto (quello passionale tra l'ingenuo Toto e la libertina Consolazione, quello timido e impossibile, almeno fino al placet di Dio, tra il prete don Silvestro e la casta Clementina), ma anche in senso lato, e di accoglienza, di unione, di fratellanza. 

Magistrali gli uomini del cast: rodatissimo Gianluca Guidi, divertente Piero Di Blasio nei panni del ragazzo di montagna Toto, cresciuto nella semplicità, brillante Marco Simeoli nel ruolo del sindaco Crispino, meraviglioso Enzo Garinei interprete di Dio, o meglio "la voce di lassù". E all'altezza le donne: da Lorenza Mario, che interpreta una Consolazione libertaria nelle scelte ma anche elegante nell'esprimerle, a Camilla Nigro, una giovane e spumeggiante Clementina dalla voce promettente, stella emergente, che nel 2019 si è sperimentata anche su Shakespeare. Tutto è impreziosito dalle luci disegnate da Umile Vainieri, capaci di portare lo spettatore tra interni caldi ed esterni accattivanti, tra notti di luna piena e un diluvio universale che pare vero.

Il tema del celibato dei sacerdoti

Di "Aggiungi un posto a tavola", si diceva, emergono freschezza e modernità. Si pensi al tema del celibato dei sacerdoti cattolici. Non potrebbe esserci argomento più attuale di questo: è appena stato pubblicato in Francia (ed uscirà presto ovunque) il libro "Dal profondo del nostro cuore", a doppia firma del cardinale conservatore Robert Sarah e del papa emerito Ratzinger, su cui è scoppiato un giallo in pieno stile Vaticano, con tanto di richiesta dell'entourage di Benedetto XVI di ritirare la firma dalle prossime edizioni. Il libro prende una durissima posizione contro i tentativi di «indebolire» il celibato sacerdotale, come quelli del recente sinodo in Amazzonia, definendo «una catastrofe pastorale» la possibilità di ordinare uomini sposati. 

La questione del celibato ecclesiastico viene, naturalmente, affrontata in modo ironico nello spettacolo. Che non è un testo teologico, e a teatro non si va per ascoltare risposte ma domande. Così Dio dà il via libera all'amore tra don Silvestro e Clementina («auguri e figli maschi!»), spiegando di avere inventato un modo tanto bello per procreare da non volerlo certo privare ai suoi «più stretti collaboratori». E non solo lo spettatore del 1974 ma anche quello del 2020 ne trova le connessioni con la cronaca.

Quello del celibato per i sacerdoti è uno dei temi che esplosero, letteralmente, nel dibattito interno alla Chiesa e tra ii credenti. Dopo il Concilio Vaticano II, infatti, i teologi, i preti e anche qualche vescovo cattolico iniziarono ad attendere la fine della regola del celibato. "Aggiungi un posto a tavola" si inserisce in questa e in altre fratture, rimandando ad esempio alla dicotomia tra Peppone e don Camillo, il sindaco e il prete, riproposta in chiave a-ideologica e a-partitica: don Silvestro e Crispino non fanno politica, ma si "beccano", si fanno anche qualche dispetto a vicenda, e alla fine vincono entrambi.

Don Silvestro, però, deve faticare non poco per risultare credibile ai suoi parrocchiani. Riesce a convincerli dell'imminente diluvio, ma il fatto che parli direttamente con Dio (un'altra cosa che lo accomuna al personaggio di don Camillo) non è immediatamente né totalmente accettato dai suoi fedeli, donne e uomini moderni, da anni '70 appunto, che non vedono come un dogma tutto ciò che proviene dall'abito talare (come accadeva un tempo, quando la voce del prete bastava a far tacere ogni dubbio. Si ricordi il sonetto romano di Gioacchino Belli "S.p.q.r.": «Solo i Preti Qui Regnano, e silenzio»). E non s'è certo estinta la dicotomia tra il prete di paese e l'autorità cardinalizia. Il porporato che s'attiene alla formalità e instilla dubbi tra i parrocchiani sulla veridicità della rivelazione del secondo diluvio universale simboleggia una Chiesa ancora oggi sentita, da molti, come lontana e quasi "nemica" della sua stessa missione. Don Silvestro, al contrario, sceglie di restare insieme ai suoi parrocchiani, che per questo lo stimano e lo amano.

La libertà sessuale e l'uguaglianza

Gli anni '70 furono costellati da innumerevoli fratture politiche e sociali: emerse, ad esempio, la donna libera che dispone del proprio corpo e del sesso senza rendere conto né agli uomini né alla morale. Le donne italiane degli anni '70 acquisirono, proprio in quel periodo, consapevolezza piena di sé, dei propri diritti, della propria uguaglianza (è del 1974 la conferma, faticosa in itinere ma poi quasi plebiscitaria, del divorzio; del 1975 la riforma del diritto di famiglia; del 1976 la legalizzazione dell'aborto). Eppure ancora oggi queste (ed altre) conquiste sono messe in discussione: di aborto si parla ancora, perché in molti ospedali non ci sono medici che lo praticano; una proposta di legge, contestatissima e al momento archiviata, voleva che al divorzio conseguisse una complicata disciplina dei figli tale da scoraggiarlo per molte donne; la gestazione per altri è ancora tabù; la procreazione assistita eterologa non lo è più, ma solo grazie alla Consulta; la prostituzione è un tema tuttora intricato, su cui è diviso anche il femminismo.

Ecco perché Consolazione esiste anche oggi, negli anni '20 del Duemila. E ne è specchio. Abbiamo ancora un problema di eguaglianza e di libertà. A dircelo è la politica, con scelte (quelle richiamate poco sopra) che mettono in dubbio conquiste che parevano consolidate; e la cronaca, con notizie di maschi che non rispettano le donne, che le stuprano, che le picchiano, che le considerano di loro proprietà, che vorrebbero imporre loro una morale differenziata.

Un testo moderno

Si può dunque gustare "Aggiungi un posto a tavola" anche con uno sguardo contemporaneo, ed è una forza dei classici, dati i temi attraversati dal testo di Garinei e Giovannini con piglio ironico ma non banale. 

Un plauso quindi alla scelta di Oti (guidata da Alessandro Longobardi con il direttore di produzione Carlo Buttò), che negli ultimi anni sta consolidando un ruolo di primo piano nella produzione di musical in Italia, di riproporre, per il terzo anno consecutivo a Milano, "Aggiungi un posto a tavola", sfidando in parte il rischio che il pubblico diminuisca, ma consentendo agli spettatori di non perdere uno spettacolo tutt'altro che "d'altri tempi". E di riascoltare (di teatro musicale si tratta, in fondo) brani entrati nell'immaginario collettivo.

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