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L'intervista

"Così a Milano abbiamo aiutato centinaia di ucraini in un anno di guerra"

L'intervista a Sara Peroni, responsabile della cooperativa Farsi Prossimo, che gestisce alcuni centri accoglienza tra Milano e i dintorni

Più di 600 ucraini accolti in un anno, dall'inizio dell'emergenza, coincisa con l'avvio della guerra d'invasione da parte della Russia. La cooperativa Farsi Prossimo è tra le realtà del Terzo Settore attive e impegnate nel Milanese per l'accoglienza dei rifugiati ucraini, in convenzione con la prefettura, la protezione civile e il Comune di Milano. Un lavoro, quello del Terzo Settore, che non significa soltanto aiuto materiale e un tetto sotto cui dormire, ma soprattutto assistenza sanitaria, psicologica, scolastica e lavorativa. "È un progetto migratorio forzato", racconta a MilanoToday Sara Peroni, responsabile della cooperativa: "Non c'è la pianificazione di un futuro lontano dal proprio Paese. Questo crea incertezza nei rifugiati con una serie di decisioni ancora difficili da prendere per loro".

Come è articolata l'accoglienza di Farsi Prossimo?

"Abbiamo un centro a Milano con 90 posti, quasi esclusivamente occupati dagli ucraini, e una rete di appartamenti in convenzione con la prefettura per 100 posti totali tra Milano e città metropolitana. Poi gestiamo il centro di Cormano con 25 posti e, su mandato del Comune di Milano, insieme alla cooperativa Spazio Aperto, una struttura di 95 posti che in realtà sono appartamenti di proprietà di Palazzo Marino. Infine gestiamo 20 posti con appartamenti finanziati da un progetto della protezione civile. Dall'inizio dell'emergenza, abbiamo accolto più di 600 persone, di cui il 55% donne, il 35% minori, il 10% uomini. Alto, rispetto ad altre accoglienze come quelle dei migranti che arrivano con gli sbarchi, il numero degli anziani: gli over 60 sono il 10%".

Dopo un anno di guerra, l'accoglienza proseguirà?

"La convenzione con la prefettura scade tra pochi giorni, essendo legata alla dichiarazione dell'emergenza che avvenne all'inizio di marzo del 2022 ed è stata poi prorogata. Attendiamo notizie, anche se un'ulteriore proroga c'è già stata a livello europeo. Per quanto riguarda i fondi privati, stiamo lavorando per capire se c'è la possibilità di proseguire".

Come funziona in pratica l'accoglienza?

"Tutte le persone accolte sono iscritte al Servizio sanitario nazionale. La regola prevede che le strutture con più di 50 posti devono avere un presidio medico stabile, anche se non h24, mentre per le altre strutture c'è il medico a chiamata. I finanziamenti della Caritas ci consentono di intervenire a sostegno del benessere dei rifugiati su più livelli: servizi sanitari gratuiti per visite specialistiche e odontoiatria, benessere psicofisico tra cui il supporto psicologico integrativo, ma anche la socializzazione, l'apprendimento della lingua, i laboratori d'arte".

Quali sono le figure che lavorano e operano nei vostri centri?

"Nei nostri centri lavorano gruppi di lavoro multidisciplinari, composti da assistenti sociali, educatori, mediatori, consulenti legali, psicologi, presidio medico/infermieristico. Per esempio, il centro di Cormano è quello che ha il medico a chiamata e non ha il consulente legale interno al gruppo di lavoro, ma se necessario può attivarsi il consulente che lavora in un altro centro. I mediatori sono parte integrante del gruppo di lavoro, cosa che normalmente non avviene perché, di solito, si ha a che fare con diverse nazionalità".

Quali sono le difficoltà specifiche nell'integrazione dei rifugiati ucraini?

"Abbiamo di fronte una popolazione che, in media, ha un'elevata capacità di comprendere il funzionamento del sistema e l'accesso ai servizi, e che conta su una fitta rete di connazionali già presenti in Italia. Un dato essenziale è che si tratta di un processo migratorio forzato: non c'è la pianificazione di costruire il proprio futuro altrove, e questo determina una condizione di incertezza. I rifugiati ucraini si chiedono se il loro futuro sarà qui o di nuovo in patria. Questo comporta una serie di decisioni difficili da prendere, ad esempio se frequentare la scuola in Italia o no. Per tanti ucraini è ancora troppo complesso capire dove sarà il loro futuro. Ne deriva una fatica a costruire qui un percorso condiviso, ad esempio sul fronte dell'integrazione lavorativa e scolastica. Alcuni bambini frequentano sia la scuola italiana sia, online, quella ucraina. E ci sono persone che, dopo essere arrivate in Italia, si spostano in altri luoghi, magari perché hanno reti di parenti o conoscenti altrove. Si sa già che il numero di persone che si sono fermate in Italia dopo essere arrivate è inferiore alle previsioni iniziali. In altri Paesi, come la Germania, si fermano di più".

Cosa può dirci dell'avvio al lavoro?

"Dal Terzo Settore e dai privati sono arrivate molte attivazioni sull'inserimento lavorativo, con progetti e percorsi di avvicinamento al lavoro. In questo senso il lavoro è stato grande fin da subito. Ma è innegabile che tanti ucraini rifugiati abbiano trovato lavoro grazie alla rete dei connazionali, anche in virtù delle proprie competenze ed esperienze pregresse".

C'è stata anche una risposta dei volontari italiani all'emergenza?

"Sì, grazie ad esempio alla collaborazione con la Caritas si è manifestata l'immediata disponibilità di una comunità locale pronta a dare una mano sull'accoglienza. Ma si è attivata anche la società civile, a partire dalle realtà che si trovano vicino ai centri di accoglienza, che si sono offerte di collaborare e aiutare. La risposta dei rifugiati non è ovviamente generalizzabile, ma si può dire che tantissimi ucraini, oltre a ringraziare per l'accoglienza, entrano in relazione con i volontari e gli operatori. Si percepisce una gratitudine costante per quello che stanno ricevendo. L'elemento che si percepisce di più è, da parte loro, la voglia di capire cosa sarà del loro futuro, con tutta l'incertezza dettata da una situazione in divenire, non ancora chiara".

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