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Cronaca

Vera giustizia per Rocchelli e Mironov: il docufilm "The wrong place" e i dubbi sulla condanna a Markiv

In attesa dell'Appello, un'inchiesta giornalistica cerca di approfondire i dubbi lasciati irrisolti dopo la condanna a 24 anni per l'ex sergente Vitaliy Markiv

E' stata fatta vera giustizia per Andrea Rocchelli e Andrej Mironov, il fotoreporter pavese e il suo interprete, nonché giornalista e attivista per i diritti umani russo (tra gli ultimi a conoscere i Gulag), morti a Sloviansk in Ucraina nel 2014? Quel maledetto 24 maggio i due caddero sotto il fuoco di mortaio, e nel 2019 a Pavia in primo grado è stato condannato l'allora sergente della guardia nazionale ucraina Vitaliy Markiv, italo-ucraino, cresciuto prima in patria e poi nelle Marche, arruolatosi quello stesso anno per difendere la sua Ucraina dalle milizie separatiste sostenute dalla Russia negli oblast di Donetsk e Luhansk.

In concomitanza con l'avvio a Milano del processo d'appello, il 29 settembre, è in uscita in autunno un'inchiesta giornalistica ("The wrong place"), i cui autori sono Cristiano Tinazzi, Danilo Elia, Ruben Lagattolla e Olga Tokariuk, che prova a fare luce sui tanti misteri del caso Rocchelli-Mironov-Markiv. L'inchiesta è patrocinata dalla Federazione italiana diritti umani e dalla fondazione Justice for journaists, che finanzia investigazioni indipendenti per crimini contro i media. E' stata anticipata da presentazioni che si sono tenute a Torino, al Senato a Roma e, da ultimo, venerdì 11 settembre, presso il consiglio regionale della Lombardia, a Milano, dove - oltre a chi scrive - sono intervenuti il consigliere regionale della Lombardia per +Europa-Radicali Michele Usuelli, i due autori Tinazzi e Elia, la giornalista esperta di ex Urss Anna Zafesova, la politica Silvja Manzi, della direzione di Radicali Italiani, e Antonio Stango della Fidu.

Gli autori hanno lavorato nell'ottica di fare vera giustizia per Rocchelli e Mironov, indagando a partire dalle tante domande rimaste aperte dopo la sentenza di condanna di Markiv. Tinazzi e la sua squadra si sono recati alla collina di Karachun, dov'era arroccato Markiv insieme a guardia nazionale ed esercito, a difendere l'antenna televisiva e tentare controffensive mentre i separatisti filorussi controllavano il resto di Sloviansk. Nonostante la richiesta della difesa di Markiv, non è stato ordinato un sopralluogo sul posto, e neppure il pm titolare dell'inchiesta, Andrea Zanoncelli, lo ha ritenuto opportuno. Così, nel dibattimento (e in sentenza) sono finiti gli screenshot di Google Earth, i video delle televisioni (russe) che intervistavano i separatisti (e mostravano qualche scenario di Karachun), ma nessun investigatore italiano ha visto dal vivo i luoghi.

"The wrong place": approfondire i fatti senza paraocchi

L'inchiesta "The wrong place" non è nata per provare l'innocenza di Markiv, ma per approfondire i fatti in modo da avvicinarsi il più possibile alla verità sostanziale di quanto accaduto, cercando di fugare i dubbi irrisolti. Gli esperimenti balistici (condotti in poligono con esperti di armi) e i sopralluoghi a Karachun dimostrano che la distanza di quasi 1.800 metri tra la presunta postazione di Markiv (a proposito: nessuna prova che in quel momento si trovasse in postazione) e il punto in cui si trovavano Rocchelli e Mironov non consente di riconoscere un individuo, identificarlo come giornalista o civile o militare (per giunta Mironov indossava una mimentica), uccidere sparando con un Ak74. Ma allora come ha fatto Markiv (secondo movente e dinamica sentenziati) a riconoscere come giornalisti i membri del gruppetto, decidere che andavano eliminati «perché avevano stufato» e indicare le coordinate? 

Non solo: se Mironov, nell'audio registrato poco prima di morire dal fotografo francese sopravvissuto William Rougelon, affermava che i colpi di mortaio provenivano anche da vicino, cioè dalle postazioni separatiste, perché nessuno (realmente interessato a capire che cosa sia successo) ha bussato alla loro porta? 

Le indagini ucraine e il ruolo di una donna che vive in Trentino

Al processo d'Appello, oltre alla richiesta del sopralluogo, anche le nuove indagini condotte nell'ultimo anno dalla polizia ucraina, che gli avvocati dello Stato ucraino (costituitosi parte civile perché ritenuto corresponsabile in primo grado) chiederanno di acquisire agli atti. Tra cui spicca la richiesta di sentire, come persona informata sui fatti, Stella Khorosheva, trapiantata da decenni a Lavis (Trento) ma a Sloviansk all'epoca dei fatti, dove era la "portavoce" dell'auto-proclamato sindaco separatista.

Khorosheva, che alle elezioni del 20-21 settembre era candidata per la Lega al consiglio comunale di Lavis (non eletta), era certamente in contatto con Mironov, addosso al quale fu trovato un biglietto scritto a mano dalla donna (secondo una perizia calligrafica), e come portavoce dei separatisti aveva tra l'altro assicurato al mondo intero che il giornalista di Vice News Simon Ostrovsky, rapito dalle milizie, "stava bene", mentre lui avrebbe poi parlato del rapimento come «i peggiori tre giorni della mia vita».

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